Clarisse (Vicky Krieps) è una madre che lascia la propria dimora, suo marito (Arieh Worthalter) e si suoi due figli (Anne-Sophie Bowen-Chatet e Sacha Ardilly), per intraprendere un viaggio apparentemente senza ritorno. Una decisione che potrebbe avere le sue motivazioni, ma che saranno chiarite in corso d’opera. Durante il suo viaggio in macchina alla donna riaffiorano ricordi realmente accaduti o immaginati. Le note del pianoforte che suona sua figlia accompagneranno lei e lo spettatore per tutto il corso del film. Però, in tutto questo qualcosa non torna e dopo pochi minuti si farà strada un mistero non ancora svelato.
Adattamento della commedia Je reviens de loin di Claudine Galea, Stringimi forte (trailer) è un ritratto amaro e struggente di una donna che attraverso frammenti di episodi felici del passato tenta di guarire da una o più sofferenze del presente. Il regista Mathieu Amalric lambisce abilmente la sofferenza tacita della donna, una madre che necessita di guarire da uno dei dolori più strazianti. Il regista però si pone l’obiettivo difficile di darne una forma e un’espressione attraverso il mezzo cinematografico. Egli, tecnicamente parlando, si serve di raccordi sonori e di movimento per collegare passato, presente e un possibile futuro intorno alla vita di Clarisse. Vicky Krieps è capace di incarnare magistralmente una donna con una fortissima sofferenza repressa.
Inizialmente la visione può risultare confusa, ma tutto sarà chiarito successivamente. Ad una seconda visione il film potrebbe essere apprezzato ulteriormente perché la frammentarietà che ci offre Amalric deriverebbe dal dolore e dalla frustrazione della donna di non avere ricordi vividi dei suoi momenti passati. Ciononostante, alcune sequenze sono forti emotivamente, come quando si vede interagire in modo sommesso i due coniugi su piani narrativi differenti, creando una commovente complicità tra i due che va oltre il tempo e lo spazio. Durante questo scambio di battute si nota chiaramente che la donna prova ad aiutante il marito nel relazionarsi coi figli. Possibile che sia una redenzione e un’espiazione per la colpa di essersene andata? O un modo per farsi coraggio contro il misterioso travaglio interiore? O semplicemente un’alternativa per ritornare ai momenti vissuti con la sua famiglia?
Diverse sono le domande alle quali si tenta di dar risposte, ma questa enigmaticità conferisce maggiore fascino e un più studiato approfondimento della figura della protagonista. Una sua battuta recita: «Che possiamo raccontare? È quello che sto facendo amore mio». Subito dopo la metà del film, ella non si accontenta dell’elucubrazione dei suoi ricordi più felici, ma si impone di costruire i possibili avvenimenti che avrebbe riservato il futuro a lei e alla sua famiglia, anche al costo di surrogare i figli con altri ragazzi più cresciuti. Gli avvenimenti del presente si fondono con la realtà alternativa immaginata dalla madre e memorabile è la scena che vede sua figlia mimare Martha Argerich. Clarisse è lasciata libera di esprimere la propria immaginazione per un futuro che è passato e che non ha modo di vedere o sperare, ma portandola a correre dei rischi, anche quello di perdersi nella propria illusione. Stringimi forte è un inno alla forza dei ricordi, vissuti e raccontati con levità nonostante il travaglio insormontabile.