“Siamo le ragazze dello Stonewall
abbiamo i capelli a boccoli
non indossiamo mutande
mostriamo il pelo pubico
e portiamo i nostri jeans
sopra i nostri ginocchi da checche!”
Con questi versi nel locale di New York, Stonewall, nel Greenwich Village vennero canzonati i poliziotti antisommossa chiamati dalle forze locali durante la prima rivolta LGBT+ che la storia ricordi nella notte del 27 giugno del 1969. I fatti di Stonewall hanno cambiato il pensiero sociale ed influenzato la costruzione dello stesso femminismo americano della fine degli anni sessanta e rappresentano un punto fermo nella storia della battaglia per i diritti delle persone LGBT+.
Sono state raccontate molte storie e girati diversi documentari sull’evento che fa da motore ispiratore alla nascita della Giornata mondiale dell’orgoglio LGBT+ o Gay Pride, ma il film del 1995 di Nigel Finch è sicuramente uno dei punti fermi della storia contemporanea del cinema LGBT+ ed è ampiamente integrato nella storia del cinema per la sua importanza sociologica e la sua qualità drammatica. Il regista non poté mai vedere il suo film montato: l’AIDS lo portò via poco prima della versione definitiva e non poté mai assistere al successo che la pellicola ebbe nei festival e nei cineforum di tutto il mondo.
Per capire meglio la storia di questo film è necessario comprendere che il tema LGBT+ non era tanto facile da trovare negli anni novanta in televisione o al cinema, si trattava di argomenti di nicchia chiusi in festival di settore o per addetti ai lavori, la massa non era pronta per accogliere il pensiero LGBT + ed i circoli del cinema dell’epoca con molto coraggio diedero il loro contributo, spingendo questa cinematografia emergente attraverso le programmazioni settimanali.
Negli anni novanta i cineforum erano diffusi in tutti Italia con notevoli riscontri di pubblico, si trattava di serate speciali che si tenevano una volta alla settimana nei cinema monosala e che coinvolgevano gli ambienti più intellettuali delle città o perfino dei piccoli paesi. La programmazione veniva curata da amanti del cinema, esperti e figure che si basavano su film studies, festival internazionali e riviste estere di cinema (più che altro francesi o inglesi) che facevano da parametro ed aiutavano gli operatori a creare rassegne che spesso scatenavano scalpore in provincia e stimolavano studenti universitari e liberi pensatori.
Negli anni novanta il cinema a tematica omosessuale, impossibile da considerare in sala o in tv, trovò uno sbocco nei cineforum grazie a produzioni di altissimo livello europee, prima di tutto inglesi, realizzate con il contributo di realtà istituzionali come la BBC o il British Film Institute. Nacque così una piccola onda di film raffinatissimi che riuscirono a superare i confini del settore e conquistare un pubblico più vasto ed intellettualmente più aperto.
Caravaggio o Edoardo II oppure Wittgenstein di Derek Jarman conquistarono le sale delle grandi città come della provincia grazie a prodotti visivamente sofisticati e coraggiosi che cambiarono la percezione della tematica LGBT+ in tutto l’occidente. Il film Stonewall di Nigel Finch va quindi visto attraverso questa prospettiva: un pubblico colto ma impreparato sul tema LGBT+ era ora pronto ad assistere al racconto di Stonewall che trattava di travestitismo, omosessualità, transgenderismo e comunismo alla fine degli anni sessanta.
Il film di Finch punta tutto sull’impatto visivo, sui personaggi sopra le righe e su alcuni drammi intimi molto ben raccontati, inoltre in onore di quanto già appreso da un film iconico come Paris Is Burning, anche Finch giocò moltissimo sugli stacchi musicali e sull’abitudine del costume transgender di cantare grandi classici della musica femminile in playback. In un certo senso le donne trans e le drag queen furono antesignane della moda attuale di Tick Tock.
Un film delizioso adatto a tutto i tipi di pubblico adulto, libero da convenzioni e privo di pregiudizi, non eccede mai in nessuna forma se non in quella di pura narrazione divertita e divertente dei fatti romanzati di Stonewall, un prodotto iconico e garbato, a tratti tosto ma molto gradevole nella confezione che lo rende una produzione evergreen della storia della rivoluzione culturale della fine degli anni sessanta.