La Midnight Factory, in collaborazione con la Koch Media, torna a colpire il mercato cinematografico dell’orrore (di qualità) distribuendo un nuovo film nelle sale italiane a partire proprio dal 25 Maggio. Il “fortunato” è Somnia, la nuova fatica del regista Mike Flanagan che, al grande pubblico, potrà non evocare grandi ricordi ectoplasmatici, ma che ai cultori del genere – e ai cinefili più incalliti – farà tornare alla mente il folgorante (e disturbante) successo della sua opera prima, Oculos. Girato con un budget molto più imponente rispetto al primo “capitolo” della propria formazione da regista, questo prodotto cinematografico si colloca ampiamente nel ricco filone del New Horror (ribattezzandolo con un neologismo) che vira, in modo brusco, dalle tradizionali atmosfere cupe e gore del rape and revenge movie, del torture porn, del survival horror o del semplice splatter (o gore, appunto) che hanno segnato gli ultimi trent’anni, per addentrarsi invece nell’inesplorato – quanto affascinante e letale – mondo dell’onirico, dell’infanzia e dei traumi legati ai dolori che ognuno di noi affronta nel corso della propria esistenza.
Già Wes Craven, degli sfavillanti anni ’80, si era pionieristicamente addentrato nelle dinamiche inquietanti del sogno che… uccide: lo aveva fatto grazie a Nightmare- Dal profondo della Notte (1984), primo capitolo di una lunghissima saga, dove i giovani protagonisti venivano colpiti – a morte – proprio nel cuore del proprio vulnerabile sonno da una creatura terribile, un certo Freddy Krueger (sfregiata e minacciosa versione moderna del classico “uomo nero”, dalle lunghe dita affilate) pronto a vendicarsi dei torti subiti in vita. Ma la versione di Craven, per quanto interessante e radicata nell’immaginario collettivo (ma anche nella realtà stessa, visto che prese spunto da alcuni episodi di cronaca nera legati a delle misteriose morti avvenute durante il sonno) non approfondisce le dinamiche del sogno, dell’incubo, del suddetto unheimlich (il perturbante, di cui parla Freud) che scuote nel profondo la nostra vigile (in)coscienza notturna, svelando le rassicuranti forme della realtà fenomenica in un’inedita versione distorta, però, dal sonno della ragione (che, come da copione, genera mostri). Ad avvicinarsi a quest’ambito, utilizzando soprattutto il linguaggio quasi rassicurante della vecchia filastrocca per bambini, è stata la regista Jennifer Kent autrice del sorprendente horror Babadook: quale modo migliore, per raccontare il travagliato percorso di “guarigione” di una madre e di un figlio sconvolti dalla perdita di una figura maschile (padre/marito) se non attraverso il linguaggio codificato del genere horror, con i suoi topoi che, razionalmente, vengono usati per descrivere al meglio i moti interiori che turbano queste due anime, le paure che li affliggono terrorizzandoli?
Lungo una strada simile si inerpica Flanagan: Somnia sfrutta l’affascinante mistero dei sogni (non senza un tocco puramente “paranormale”) per raccontare una storia incrociata di dolori e perdite, seguendo l’onda emotiva di una fiaba gotica (e un’estetica sospesa tra l’Espressionismo tedesco di F. W. Murnau e l’iperattività creativa naive di Guillermo del Toro); da un lato c’è una madre (Kate Bosworth) che rifiuta di accettare la perdita di un figlio, e dall’altra c’è un bambino (Jacob Tremblay, già piccola star di Room) che non riesce a metabolizzare la scomparsa della propria madre: per accettarla, dà letteralmente corpo alle proprie fantasie, ma con conseguenze letali e pericolose per chi lo circonda, soprattutto quando compare il “suo” babadook, quell’uomo cancro che si nutre delle persone, facendole scomparire. Come in una fiaba gotica, appunto, sarà solo la bella principessa/madre, con tutto il suo amore e la sua determinazione l’unica in grado di sciogliere il maleficio che grava sul bambino, permettendo soprattutto – ad entrambi – di lenire le ferite dell’anima e del cuore, incapaci di rigenerarsi da sole quando la ragione è a riposo… proprio come nei sogni.