Il regista norvegese Kristoffer Borgli, con l’opera da lui scritta e diretta, Sick of myself (trailer), presentata nella sezione Un Certain Regard del 75º Festival di Cannes, propone al pubblico un ritratto inclemente di un’umanità inquinata. Lo fa in maniera anticonvenzionale, paradossale, arrivando, con fermezza, dritto alla coscienza dello spettatore. Il vagare dei personaggi alla ricerca della propria dimensione, del proprio posto nel mondo ci ricorda The Worst Person in the World; del collega norvegese Joachim Trier, mentre lo slancio verso le mutazioni grottesche del corpo ricalca alcune caratteristiche di Pieles (diretto da Eduardo Casanova). Ci troviamo davanti ad un connubio di generi, forme e suggestioni decisamente interessante.
Signe (Kristine Kujath Thorp protagonista in Ninjababy e The North Sea) e Thomas (Eirik Sæther) sono una coppia. Lei lavora in una caffetteria, lui realizza delle sculture utilizzando delle sedie, con l’obiettivo di diventare un artista contemporaneo. I due protagonisti sono egoisti, invidiosi, avidi di attenzioni, frementi nella ricerca di ammirazione esterna. Per nascondere la propria insoddisfazione cercano costantemente di superare l’altro, agendo, gran parte del tempo, in maniera meschina, sperando che il solo pensiero di essere migliori del proprio partner sia in grado di gratificarli. Sarà proprio la stessa Signe ad affermare: «Se non fai il tifo per te stesso nessuno lo farà per te». Siamo in una dimensione in cui risulta impossibile fidarsi, affidarsi all’altro. Eppure, Signe e Thomas formano una coppia, una coppia che si regge su un singolare equilibrio. Appare chiaro fin dall’inizio del film che il loro prorompente narcisismo li abbia attirati l’una verso l’altro, in una strana ma rassicurante comfort zone. Non c’è affettività reciproca, non c’è ascolto, soltanto un tiepido sopportarsi a vicenda, consapevoli che nessun altro lo farebbe al posto loro.
Signe si accende quando gli altri chiedono di lei, quando la guardano con occhi compassionevoli. Farebbe di tutto pur di vivere continuamente quella sensazione. Le piace essere vista, essere al centro dei discorsi. Questa brama di attenzioni la spinge a ingerire periodicamente una sostanza stupefacente che avrà degli effetti devastanti sul suo aspetto e sulla sua salute in generale. La protagonista arriverà a mettere volontariamente in pericolo sé stessa per qualche giorno di visibilità, per qualche like sui social network, ma, soprattutto, per catalizzare gli occhi dei suoi cari su di lei. «Qualcuno ha chiesto di me?» sarà la prima cosa che, una volta ricoverata in ospedale, vorrà sapere da Thomas. Non è semplice, da spettatore, assistere al cambiamento del corpo di Signe. La si vede trasformarsi, perdere le sue fattezze e la regia non fa altro che evidenziare questo mutamento. È come se Borgli volesse trasportare il marciume di una società sul corpo di una protagonista che lentamente si liquefà.
Viviamo nell’epoca della rappresentazione (o meglio dell’autorappresentazione) e Sick of myself non fa altro che enfatizzare questo concetto. Non importa quanto costi, l’importante è che se ne parli. Sottoponiamo costantemente noi stessi allo sguardo degli altri e ne traiamo giovamento. Il nostro corpo, i nostri interessi, la nostra personalità sono continuamente alla mercé di quello che è considerato “bello”. Questa modernissima storia dell’orrore è capace di mettere lo spettatore davanti ad emozioni repellenti su quello che oggi lo circonda, e lo fa con ironia.
Il film si chiude con un finale che lascia spazio a tante (forse troppe?) interpretazioni. La protagonista ha ritrovato la voglia di vivere? C’è stato un arco di trasformazione della stessa? La parte conclusiva del film rende difficile rispondere a queste domande, lasciando lo spettatore nella confusione di chiedersi quale fosse effettivamente l’obiettivo del regista. Quello che emerge è che l’autore del film non abbia l’intenzione di delineare una via di uscita per i protagonisti, il loro è un disegno spiazzante, aspro, saturo. È la storia di due vittime di un sistema che si basa sempre di più sulle apparenze, un sistema in cui noi stessi siamo intrappolati. Signe e Thomas sono delle figure grottesche che camminano in un modo forzatamente esagerato, eppure, probabilmente, noi, come individui della nostra società, qualche loro tratto riusciamo a riconoscerlo, a riconoscercelo (con leggero fastidio annesso).
Sick of myself sarà in sala dal 5 ottobre.