#Romaff19: Sharp Corner, la recensione del film di Jason Buxton

Sharp Corner recensione dasscinemag

Chi cresce in provincia conosce quelle strade pericolose, dimenticate da Dio e dalle giunte comunali, dove avvengono sempre incidenti. Una di queste strade è la protagonista di Sharp Corner, film di Jason Buxton presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma.

Una allegra famiglia si trasferisce finalmente lontano dal caos cittadino, nella casa dei loro sogni. La prima sera nella nuova dimora, una macchina di teenager ubriachi si schianta proprio nel loro giardino. L’evento per Josh (Ben Foster), il padre, diventerà un’ossessione.

Come La finestra sul cortile (e a seguire centinaia di film del genere), anche Sharp Corner vuole portare una riflessione sul nostro rapporto con lo schermo. Josh assiste a tutto attraverso la finestra di casa sua eppure vorrebbe sempre essere dall’altra parte. Lo sguardo passivo lo annichilisce tanto che tutto il suo quotidiano viene rivoluzionato in funzione di ciò. La narrazione della cronaca nera nelle news ci desensibilizza alla morte nelle modalità ritratte in questo film. Le tragedie si consumano nel nostro giardino, eppure uno schermo (la finestra) ce li sposta nello stesso tempo altrove e dentro casa.

Josh è un uomo patetico la cui vita è piena di continui insuccessi. Il lavoro nel quale non riesce a spiccare e il rapporto con la moglie psicologa sempre più fallimentare disegnano un personaggio per cui provare pena. L’interpretazione di Ben Foster dona al personaggio un catalogo comportamentale antidivistico coerente e ben riuscito. L’attore, abituato a ben altri ruoli, si spoglia del suo fare da cowboy rivelando una inaspettata versatilità. Le movenze e gli sguardi a tratti ridicoli e fumettistici si sposano con naturalezza alla struttura e ai comprimari. L’uomo che non deve chiedere mai si trasforma nell’uomo che deve chiedere sempre (e non ottiene mai nulla).

Purtroppo a non reggere però è ciò in cui sarebbe dovuta risiedere la forza di un film come questo, la sceneggiatura. Evidentemente tratto da un racconto breve, Jason Buxton non riesce ad aggiungere corpo ad una idea che rimane potenziale e inespressa. Il secondo atto è ripetitivo, non c’è evento o evoluzione abbastanza interessante da poterci far rimanere incollati e pensierosi. Non solo tutto è prevedibile, ma diventa anche ridondante. L’errore dello sceneggiatore risiede nel non aver avuto il coraggio di continuare da quello che si rivela essere inaspettatamente un finale troncato. Arriva al punto, certo, ma annoiando e non portando tesi originali.

Figlio illegittimo de Lo sciacallo di Dan Gilroy, Sharp Corner delude le aspettative che sembrava aver costruito nei primi intriganti dieci minuti. Un dramma che voleva essere thriller risulta così un film che doveva essere cortometraggio. Quando si affronta un argomento come questo, che la storia del cinema ha affrontato parecchio, bisogna essere cauti perché i paragoni saranno inevitabili. Non reggendo il confronto con i suoi fratelli più intriganti e intelligenti, il film ci fa sbuffare per una storia che ha talento ma non si applica.

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