Fin dalle origini del piccolo schermo, i vari palinsesti hanno sempre avuto bisogno della presenza di una colonna portante che ne costituisse la base: l’informazione. Inizialmente il genere si basava sulle diverse edizioni dei telegiornali, poi si è ampliato con programmi di inchiesta o rubriche di approfondimento di vario genere volti a tenere il pubblico sempre aggiornato e ad alimentare la curiosità verso ogni ambito del sapere.
Tanti sono stati i nomi illustri che hanno dato un volto a questo genere televisivo curando trasmissioni ad alto valore non solo informativo ma soprattutto formativo. Tra questi è doveroso ricordarne due ed osservare quale sia stato il loro modo di lavorare: Sergio Zavoli e Vincenzo Mollica. Parlare al passato, purtroppo, non è casuale ma è d’obbligo poiché il primo ci ha lasciato il 4 agosto scorso, mentre il secondo ha tirato i remi in barca per iniziare la pensione, da lui chiamata “la sua seconda gioventù”, a causa del complicarsi delle sue condizioni di salute.
Sergio Zavoli sale alle cronache con Il processo alla tappa, un programma sportivo incentrato sul Giro d’Italia che utilizzò per la prima volta la moviola ed altri innovazioni tecniche che lo fanno assomigliare ad un programma sportivo attuale. Infatti, la telecronaca sportiva e quindi l’informazione legata allo sport è stata, fin da subito, sviluppata e adeguata al nuovo mezzo. Addirittura, con l’avvento della televisione, alcune regole o caratteristiche di certi sport sono cambiate e si sono dovute adattare alle esigenze televisive.
L’intenzione di Zavoli fu ancora più audace poiché incentrare una trasmissione sul ciclismo non era cosa facile. Infatti, come scrive Aldo Grasso in Prima lezione sulla televisione: “La televisione stimola nei confronti dello sport nuove modalità di racconto, diverse da quelle vagamente letterarie, espresse in una particolare prosa d’arte, finemente sensibile alle gesta del pugilato, del ciclismo, dell’atletica e dello sci”. La scommessa però riuscì grazie all’idea di Zavoli di introdurre storie di contadini e cittadini provenienti dai luoghi in cui si stava svolgendo l’evento sportivo, unendo quindi la spiegazione tecnica di un evento sportivo ad una parvenza di tv verità.
Poi un cambio di genere con Nascita di una dittatura e La notte della repubblica, trasmissioni a carattere storico e documentaristico: la prima incentrata sui passaggi che determinarono l’instaurazione della dittatura fascista, mentre la seconda fu un vero e proprio esperimento. Rai Due sposò infatti la coraggiosa idea di Zavoli che proponeva quarantacinque ore di approfondimento giornalistico sugli eventi cruciali degli Anni di Piombo suddivisi in diciotto puntate.La scelta di riproporre il programma è dedicata soprattutto ai giovani e a quanti non hanno vissuto la vicenda conclusasi con il tremendo sacrificio di Aldo Moro, segno di un’epoca ancora in cerca di ragioni e convalide.
Uno spirito quello di Zavoli che è quello di tutti i giornalisti che hanno operato in un periodo storico completamente diverso dal nostro, di cui noi oggi affrontiamo gli strascichi. Uno spirito che ha animato giornalisti della successiva generazione che hanno poi ideato programmi di approfondimento di notevole spessore.
Una carriera completamente diversa è stata quella di Vincenzo Mollica volta ad approfondire aspetti maggiormente legati al costume, al mondo dello spettacolo, del cinema (famosissimi i suoi servizi da inviato ai grandi Festival e cerimoniali del cinema) e del disegno. Un forte legame al mondo dei media, che lo affascina ancora oggi visto che gestisce personalmente sia una pagina Facebook a partire dal 2011 e più di recente anche un canale Instagram. È fatto così Vincenzo Mollica che, oltre ad essersi guadagnato una voce nell’enciclopedia Treccani, ha portato Aldo Grasso, uno dei più importanti critici della televisione, a coniare appositamente per lui un termine che definisse il suo stile: il “mollichismo”.
“È un libro parlante, una sola moltitudine di arguzia e sapienza, un’intelligenza acuta che si è fatta TV. Non può neppure immaginarsi di cedere a un giudizio, a un appunto, a un dissenso. Parla sempre bene di tutti.” Un uomo che è diventato un punto di riferimento non solo per gli addetti ai lavori ma anche per gli artisti che avrebbero pagato oro per un’intervista fatta da lui. Sfortunatamente, il complicarsi delle sue condizioni di salute lo ha costretto ad annunciare il suo pensionamento proprio all’indomani del settantesimo Festival di Sanremo.
Sicuramente la sua forza e la sua ironia rimarranno sempre vive sia attraverso Vincenzo Paperica, il personaggio dei fumetti che dal 1995 è entrato ufficialmente a far parte di Topolino, sia tramite il pupazzo, sempre con le fattezze di Mollica (a cui poi egli stesso ha prestato la voce), che Fiorello ha voluto con sé nella sua trasmissione Viva RaiPlay. Vincenzo Mollica è dunque l’esempio di un giornalista che non si è mai ancorato ad una sola dimensione, che non ha mai disprezzato il futuro né cosa esso potesse riservare, soprattutto in campo mediatico, ma si è adattato e ha mostrato sempre quella sua curiosità verso la novità.
“Nella mia vita ho semplicemente fatto, con passione e umiltà, il mio lavoro: il cronista. Non ho mai indossato il mantello del critico, né mi sono messo nelle condizioni di fare qualcosa che non fosse il cercatore di storie. Sono solo una persona che incontra altre persone e le ascolta: quello del cronista è un mestiere molto più semplice di quello che si possa pensare.”
Il potere dell’ascolto, dell’impegno, dell’umiltà, della passione per il proprio lavoro e del desiderio costante di scoprire cose differenti: sono questi gli insegnamenti di grandi giornalisti come Zavoli e Mollica, valori che non devono essere considerati démodé, ma dei punti fermi di ieri, oggi e domani.