Era il 2002 quando dopo una vita intera trascorsa in angoli del pianeta dilaniati dalla guerra, dalle persecuzioni e vessazioni imperialistiche, Sergio Vieira de Mello venne designato Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Era l’anno seguente quando fu inviato in qualità di rappresentante in Iraq, paese che aveva subito da poco uno sconvolgimento politico di rilevanza mondiale: l’invasione da parte dell’esercito statunitense e la deposizione del dittatore Saddam Hussein. Sergio Vieira de Mello, ormai una delle più stimate personalità dell’ONU, probabile successore dell’allora segretario generale Kofi Annan, era di fronte a una delle più pericolose e complesse missioni della sua vita: portare l’Iraq a libere elezioni al più presto, evitando il divampare della seconda guerra del Golfo. Il 19 agosto 2003 però, egli morì insieme ad altre ventuno persone in un attentato terroristico contro la sede delle Nazioni Unite a Baghdad.
Sergio (trailer) è stato affidato alla regia di Greg Barker, il quale aveva già realizzato un documentario omonimo nel 2009 sulla sua vita. Wagner Moura, noto al pubblico di Netflix per la serie Narcos, veste ora i panni del diplomatico brasiliano, suo connazionale, facendolo vivere nuovamente nel film, dove figura anche come produttore. Raccontare storie come queste non è mai un’azione scontata, e la primissima sequenza del film è illuminante a questo proposito: quando viene chiesto a De Mello di registrare un breve video di presentazione da esibire ai nuovi membri dello staff (oppure al pubblico?), lui si chiede come si possano riassumere in un video di tre minuti (oppure nel film?) i trentaquattro anni della sua vita lavorativa che lo hanno portato a essere Alto commissario per i diritti umani. La risposta che si dà subito porta con sé gran parte del valore di un film come questo, ovvero che non importa l’efficienza del riassunto, o la precisione dei dettagli, quel che conta è “ispirare”.
Le linee narrative in Sergio procedono alternativamente, tra quella della permanenza in Iraq e quella delle ultime ore di vita del diplomatico, si inseriscono ricordi e flashback che vanno a plasmarne invece la vita personale. Una focalizzazione avviene sull’esperienza a Timor Est, primo paese del XXI secolo ad ottenere l’indipendenza grazie al lavoro delle Nazioni Unite amministrato da De Mello. È proprio qui che il film intende segnare un punto di svolta e di crescita per il protagonista: in questo piccolo paese schiacciato dalla vicina Indonesia egli trova il calore sentimentale di Carolina Larriera (Ana de Armas), economista per l’ONU, e riscopre il valore della sua posizione in un momento apparentemente insormontabile del suo mandato. Gli viene rammentato il desiderio di “voler essere visti” che emarginati, vittime di guerra, giovani, chiedono a gran voce ai personaggi che nelle aree di guerra e soprusi rappresentano una speranza di via d’uscita.
Storie come quella di Sérgio Vieira de Mello raccontano della capacità di prendere decisioni sempre e comunque in favore di una soluzione pacifica, anche se significa andare contro i propri alleati. È il coraggio di un gesto, con le annesse responsabilità e motivazioni, che diventa un messaggio per poter davvero cambiare le cose. Ma questa storia non è mai stata raccontata a sufficienza, le grandi istituzioni che hanno assunto i meriti dell’operato sul campo di inviati come lui, sono state accusate di aver dimenticato in fretta. Non rimane allora che raccontare la persona, con il suo coraggio, i suoi dubbi, gli ostacoli affrontati, come fanno Carolina Larriera e tutti coloro che lo conoscevano, a cui si uniscono poi le forze del cinema.
Sergio, disponibile ora su Netflix, tiene a ricordare che l’unico ingrediente per poter aspirare davvero alla pace non nasce dalle facciate istituzionali, ma dalla sincera passione per la libertà delle singole persone che ne rappresentano i valori.