September 5, la recensione: i terroristi in diretta tv

september 5, la recensione del film

Oggi siamo abituati a ricevere informazioni in tempo reale su qualsiasi tipo di evento, spesso anche quelli catastrofici, in cui video amatoriali o LIVE sono i primi mezzi utilizzati per testimoniare ciò che accade davanti ai nostri occhi. September 5 – La diretta che cambiò la storia (trailer) ci porta alle origini di questo fenomeno, spingendoci a interrogarci su quanto il diritto di informazione possa superare il confine con la spettacolarizzazione della violenza. Tema già affrontato in Civil War, film distopico che esplora la disumanizzazione di mestieri quali fotoreporter e giornalisti all’interno di una guerra civile. Al contrario di quest’ultimo però September 5 analizza queste tematiche partendo da un evento storico, il massacro di Monaco di Baviera, dandoci un punto di vista inedito: lo staff dell’emittente televisiva statunitense ABC.

Presentato in anteprima mondiale nella sezione Orizzonti Extra dell’81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, September 5 è attualmente candidato agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale, co-scritta dal regista Tim Fehlbaum e dagli sceneggiatori Alex David e Moritz Binder e ai Golden Globes come miglior film drammatico. Il film riesce a spiegare e farci immergere gradualmente nel contesto storico e culturale del 1972, senza inciampare nel banale “spiegone” ma, al contrario, servendosi della tecnica del set-up/payoff che risulta fondamentale per mantenere alta la tensione per tutta la durata del lungometraggio.

Il contesto è il seguente: in occasione delle Olimpiadi estive del 1972 il governo tedesco scelse di investire nell’evento in termini di visibilità, di conseguenza ridusse al minimo la sicurezza allo scopo di ripristinare agli occhi degli spettatori un’immagine democratica del paese e allontanarsi, almeno in parte, dal peso del passato nazista. Questo punto è fondamentale per comprendere come è stato possibile che un commando dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero irrompesse negli alloggi degli atleti israeliani del villaggio olimpico, uccidendo due persone e prendendo in ostaggio gli altri mentre due vittime riuscirono a fuggire. Dall’altra parte l’ABC, presente all’evento in qualità di emittente sportiva, era l’unica rete a disporre di risorse tecnologiche (basta pensare che trasmetteva già in diretta a colori per gli Stati Uniti) e in termini di staff, capace di trasmettere ciò che stava accadendo a pochi metri dalla loro sede operativa. Qui nasce il primo grande dilemma: lasciare la notizia ai notiziari o occuparsene direttamente?

September 5, la recensione

A questo punto entrano in gioco i personaggi principali, caratterizzati dalle dinamiche gerarchiche all’interno dell’emittente: il presidente di ABC Sports Roone Arledge, interpretato da Peter Sarsgaard, il “novellino” Geoffrey (John Magaro) gettato nella posizione di “capo della sala di controllo” e il responsabile delle operazioni Ben Chaplin. Uomini che devono mantenere un’apparenza di sicurezza per mantenere il potere e il controllo ma che vediamo spesso confrontarsi, interrogandosi sulle contraddizioni del loro lavoro e i dubbi etici scaturiti dalla vicenda. Un altro elemento che Fehlbaum riesce a sottolineare con efficacia è la discrepanza tra ciò che accade dietro le quinte e ciò che viene trasmesso in diretta televisiva mostrandoci quello che i media tendono a farci dimenticare: ovvero che tutto ciò che vediamo è comunque una mediazione della realtà. Tanto che anche le immagini riprese in diretta risultano ibride, a metà tra l’oggettività e la soggettività.

Non a caso, uno dei momenti di massima tensione è quando l’emittente scopre che gli stessi terroristi stanno seguendo la diretta televisiva, servendosi dell’emittente per avere maggiore potere sul governo tedesco, totalmente impreparato a questo tipo di minaccia. Vari membri del commando si affacciano più volte dalla finestra dello stabile così da mostrarsi al “pubblico” e utilizzano uno degli atleti sequestrati durante le negoziazioni e, infine, mantenendo alta la tensione posticipando la scadenza del primo ultimatum di alcune ore. Il cambio di scenario, dal villaggio olimpico all’aeroporto militare, segna un altro snodo cruciale. A seguire fisicamente la vicenda si accalcano innumerevoli giornalisti, intasando le strade e proseguendo a piedi una prassi che seguiamo attraverso gli occhi della traduttrice Marianne Gebhardt (Leonie Benesch) che, con altri membri della troupe dell’ABC, è tra i primi a riferire la voce che l’incursione della polizia sia riuscita a neutralizzare la minaccia e che gli ostaggi sono liberi.

Questo porta al secondo grande dilemma morale del film: la veridicità delle notizie. Più volte assistiamo al processo di fact-checking, che richiede la conferma di ogni informazione attraverso almeno due fonti indipendenti. Ma in una situazione così caotica, dove l’emittente è posta davanti alla ghiotta occasione di avere il primato sulla notizia, e dopo così tante ore di diretta, l’etica viene superata dal bisogno di primeggiare. Così, con un escamotage linguistico, il conduttore televisivo Jim McKay annuncia la buona della liberazione degli ostaggi, per poi smentirla in un secondo momento. In definitiva, September 5 si rivela un’eccellente trasposizione cinematografica di un evento storico cruciale, capace di stimolare riflessioni profonde sul ruolo dell’informazione.

Dal 13 febbraio al cinema.

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