È la guerra dei contenuti, o degli originals se preferite. E in questo contesto, o ci si adegua, o si soccombe. Sky costituisce una realtà produttiva e comunicativa ben radicata nel territorio italiano a partire dal 2003, capace di istituire per la prima volta un modello di pay TV editorialmente unico sul piano della fruizione domestica del medium televisivo. Sebbene nel corso di quasi vent’anni di storia nazionale abbia indubbiamente fidelizzato un più che soddisfacente numero di clienti (oggi si parlerebbe di utenti), tutto è cambiato dall’arrivo anche in Italia dei competitors colossali della Silicon Valley.
Nel 2015 Netflix viene ufficialmente lanciata nel Bel Paese, nel 2016 è il turno di Amazon Prime Video, nel 2020 tocca a Disney+. Non è certo questa la sede per discutere delle strategie di mercato delle varie piattaforme, né delle loro politiche contrattuali. Vale la pena, invece, riflettere un momento sulla necessità da parte di Sky di rafforzare la propria brand identity per sopravvivere in questa guerra dell’intrattenimento.
Le piattaforme, infatti, su previa sottoscrizione di un abbonamento, offrono all’utente una library digitale con contenuti vari: film e serie tv per lo più. Ma ciò che ne decreta lo status sul piano comunicativo è la produzione degli originals. A tal proposito, da oggi è disponibile su Sky e Now Security (qui il trailer), il nuovo thriller Sky Original, liberamente tratto dall’omonimo bestseller di Stephen Amidon (già autore de Il capitale umano, trasposto al cinema da Paolo Virzì nel 2013), e diretto dal regista britannico e cosmopolita Peter Chelsom (autore di film dal successo internazionale, tra i quali Serendipity, Shall We Dance? e Hannah Montana: The Movie). Security, sceneggiato dallo stesso Chelsom insieme a Tinker Lindsay, Silvio Muccino, Michele Pellegrini e Amina Grenci, e coprodotto da Indiana Production e Vision Distribution, racconta una storia invernale in una scarna Forte dei Marmi.
A partire dal ribaltamento stagionale del setting, il film segue la detection di Roberto Santini (Marco D’Amore), il responsabile dei sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso delle più importanti residenze della cittadina balneare toscana, sul caso di Maria Spezi (Beatrice Grannò), una studentessa ritrovata una sera gravemente ferita e forse vittima di violenze sessuali. Intrighi familiari e politici, verità, menzogne, e traumi del passato contribuiscono a complicare una storia all’interno della quale ciascuno sembra nascondere qualcosa.
Per prevenire il male, infatti, bisogna sorvegliare e punire. Per promuovere ciò è necessario stabilire un regime di sicurezza. Se la “Security” e la “Surveillance” fossero state le topiche centrali della vicenda, il film sarebbe risultato decisamente più incisivo. Infatti, la regia di Chelsom, la direzione della fotografia del premio Oscar Mauro Fiore (Avatar, 2010), e la presenza di un cast intelligente e dotato, che unisce stars cross-generazionali come Marco D’Amore, Maya Sansa, Valeria Bilello, Silvio Muccino, Tommaso Ragno, e Fabrizio Bentivoglio con le giovani promesse Ludovica Martino (Skam Italia) e Giulio Pranno (Tutto il mio folle amore), riescono nel complesso a soddisfare le legittime aspirazioni internazionali e al tempo stesso italianissime del progetto. Tuttavia, Security non ferisce, non colpisce.
La scelta di riflettere sulla dispersione delle immagini nella società del costante controllo dei corpi in cui viviamo è senz’altro accattivante. E il film riesce abbastanza bene a raccontare l’inquietudine contemporanea della diffusione degli schermi e della possibilità da parte di chi detiene il regime dello sguardo di controllare e manipolare il flusso delle immagini del reale. Di fatto, però, Security non problematizza sul piano sociale ed etico le possibilità deflagranti dello sguardo panottico, e riduce invece il conflitto a una serie di particolarismi e scissioni interne ai personaggi che non superano la prevedibilità di un gioco narrativo privo di mordente.
Tantissimi sono i percorsi d’indagine sociale e personale che avrebbero meritato un maggiore graffio. Infine, non è tanto l’idea di rinchiudere e circoscrivere il male dentro i confini della piccola cittadina a fallire. A Forte dei Marmi, infatti, le fortezze dei suoi cittadini sono spazi di perversione e di erosione dell’Io e dei rapporti umani. E la piccola comunità del New England in cui ha luogo la vicenda nel romanzo di Amidon non dovrebbe aprioristicamente risultare più perturbante e orrifica dello scenario italiano. Ciò che dunque decreta l’insuccesso di Security è il suo non raccontare a sufficienza gli spazi, pubblici e privati, in cui si muovono i personaggi, e il non insistere su un discorso sulla possibilità delle immagini traumatiche di compromettere il senso delle cose, riducendo tutto ad una scrittura inefficace e datata, ad una scopofilia senza sguardo.