«Non c’è abbastanza spazio o tolleranza per un’altra specie su questo pianeta». Le parole di un Nick Fury (Samuel L. Jackson) impotente e rassegnato risuonano perentorie nelle orecchie di Talos (Ben Mendelsohn). La sua colpa (che è quella del suo popolo) è quella di averle verdognole e a punta, di possedere un corpo non conforme, diverso, di non trovarsi nel proprio luogo di appartenenza. In Secret Invasion (trailer) l’invasione è il risultato dell’inattuabilità di un’integrazione. Gli skrull sono alieni, antropomorfi ma pur sempre extraterrestri, extraumani, extra, “fuori” e quindi intrusi, in più e, dunque, di troppo. Non possono che camuffarsi, fingersi umani, concretizzare le paranoie statunitensi legate all’Altro, all’impostore dalle fattezze familiari, indistinguibile, cangevole, inarrestabile, soprattutto (ancor di più dopo l’11 settembre) minaccia, nemico, terrorista.
Di matrice terroristica sono le azioni di Gravik (Kingsley Ben-Adir), skrull ribelle stanco della visione e delle promesse di Nick Fury (insieme a Talos ultimo baluardo per la cooperazione tra specie), detronizzatore e sostituto del più moderato e pacifico leader “amico degli umani”. Gravik è un fondamentalista con i superpoteri, sostiene la prevaricazione e l’annientamento, difende la propria ideologia con spietatezza, crede nella costruzione di una Casa per il popolo di mutaforma che si eriga su fondamenta di sangue, rosso (non viola) e innocente, ma “extraskrulliano”.
Un sangue che in Secret Invasion sgorga e non si risparmia, rende la serie il prodotto più violento del MCU, frutto di una scelta di genere esplicita, dimostrazione delle possibilità infinite di un universo ormai “fumettistico” anche nelle dinamiche produttive, sempre più espanso ed esplorabile, allo stesso tempo libero di peregrinare ed imbrigliato in una macrotrama ed una coerenza narrativa (oltre che stilistica) limitante. “Sperimenta” abbandonando (quasi del tutto) la componente action e supereroistica, gettandosi a capofitto nella spy-story fantapolitica con tutti i topoi che ne derivano, si ingolfa ricordandosi della propria natura ancillare all’interno dell’ecosistema MCU. Ci sono spionaggio internazionale, doppi e tripli giochi, cospirazioni segrete e pedinamenti, pallottole e silenziatori. C’è anche la consapevolezza di essere, ancora, prodotto derivativo, che asservisce ma non serve, accessorio e, dunque, depotenziato.
È, in fondo, un problema che affligge concettualmente tutte le serie prodotte dalla Casa delle Idee, patologicamente subordinate e mai capaci di andare oltre la mera illusione di un reale peso specifico all’interno della macronarrazione filmica. La piattaforma streaming (e la serialità) è per i Marvel Studios un contenitore per la sperimentazione (non avanguardistica) di genere (si pensi all’horror in stile classico Werewolf by Night, al pastiche sitcom di Wandavision, al teen drama Miss Marvel) e per il soddisfacimento di tutti i palati. Ma gli avvenimenti rilevanti si contano sulle dita di una mano e serie e special finiscono per rivelarsi uno sfizio per fan con il chiodo della completezza. Secret Invasion (come le precedenti uscite su Disney+) diventa, allora, escamotage per allargare la rosa di eroi, vetrina per l’esordio di nuovi super personaggi, una presentazione finalizzata alla loro discesa in campo nei film che contano, già arruolabili e pronti all’uso. La serie è, in questo senso, funzionale all’impiego futuro di personaggi come G’iah (Emilia Clarke) e Sonya (Olivia Colman) e ad evitare un’introduzione in pellicole ormai regolarmente crossover e senza più tempo da perdere. G’iah e Sonya sono, insomma, figurine già scartate di una serie che toglie ai film la fatica dello spacchettamento.
Al di là di una questione ontologica sulla serialità targata Marvel, Secret Invasion condivide con le precedenti serie dell’MCU la triste ricorrenza di una prima parte promettente e una seconda parte demolitrice, con un finale anticlimatico fino al midollo e fatalmente privo di pathos. Intrighi e segreti, momenti spassosi che ammiccano al buddy movie, una relazione amorosa atipica ed adulta, un piano del villain banale ma sensato: sono tutti elementi interessanti piantati nei primi episodi, che vengono disinnescati e spazzati via nel finale di stagione. I tasselli di un puzzle ben composto vengono buttati all’aria, la narrazione si sfilaccia ed i personaggi cominciano ad agire come in preda ad un morbo dell’incoerenza e dell’illogicità. Gravik diventa una macchietta assetata di potere che pare dimenticare la propria ideologia, Fury si fa meno incisivo e centrale proprio nel momento decisivo, si fa fatica a comprendere le ragioni di Sonya e nel finale la serie rivela il suo vero volto da action blando e superficiale, risultato di una scrittura pigra e pressapochista, pretenziosa e mai virtuosa. Insomma, ironia della sorte, Secret Invasion è un perfetto skrull, abbindola lo spettatore con i connotati di una spy-story ben pensata, ma subisce una metamorfosi a metà narrazione che ne smaschera la natura frivola e semplicistica.