#RomaFF19: Savages, la recensione del film di Claude Barras

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Direttamente da Cannes e Locarno, Claude Barras è tornato ancora una volta ad affascinarci con il suo splendido lavoro d’animazione in stop-motion. Presentato in Italia alla Festa del Cinema di Roma nella selezione di Alice nella città, Savages (trailer) è il nuovo lungometraggio del regista svizzero che, dopo il successo del primo film, La mia vita da zucchina, continua ad esplorare il rapporto tra infanzia e mondo adulto attraverso una storia in chiave ecologista.

Ambientata nel Borneo, il film segue Kéira (Babette De Coster), bambina undicenne che vive ai margini della foresta con suo padre (Benoît Poelvoorde), impiegato nelle piantagioni di olio di palma. Un giorno i due assistono all’orribile uccisione di un orangotango da parte di alcuni lavoratori locali, riuscendo però a salvare il cucciolo dallo stesso destino e portandolo a casa per prendersene cura. Poco dopo, si unisce a loro anche Selaï (Martin Verset), il cugino di Kéira, che fugge dal conflitto tra la sua famiglia, appartenente alle popolazioni indigene, e le compagnie di legname che sfruttano il territorio. Nonostante un inizio difficile, Kéira e Selaï si troveranno uniti nella lotta per proteggere la loro foresta dalla distruzione.

Fortemente influenzato da racconti personali d’infanzia e dell’attivista svizzero Bruno Manser, Barras tenta di realizzare un film adatto ad un pubblico più giovane, per sensibilizzarlo in modo delicato sulla questione della deforestazione e dei sistemi di sfruttamento da parte delle industrie agroalimentari. Tuttavia, chi si avvicina a Savages aspettandosi la stessa maturità con cui il film precedente affrontava certi temi, permettendo una doppia lettura per adulti e bambini, rimarrà deluso.

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La nuova opera del regista, infatti, non aspira in nessun momento ad andare oltre la semplice storia educativa per i più piccoli. Ciò non sarebbe un problema se non fosse che la scrittura rimane eccessivamente semplicistica e poco incisiva anche per un pubblico più giovane. Il film non approfondisce mai davvero perché sia importante preservare la natura o tutelare i luoghi e le tradizioni indigene, lasciando così un senso di incompiutezza per quella che sarebbe potuta essere una proposta interessante nel panorama dei film d’animazione.

È nondimeno importante sottolineare il lungo lavoro di claymation, che sembra essere maturato dall’ultimo film di ormai otto anni fa. Lo stile dei personaggi e degli ambienti si fa ancora più dettagliato e ricco di quelle sfumature piene di dolcezza riscontrabili nelle opere del regista. In particolare, i colori caldi, le luci e la cura nella realizzazione degli animali e degli elementi naturali (tra cui la splendida vegetazione) sono i motivi che per cui Savages merita comunque di essere visto.

«La Terra non ci appartiene, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli», con questa citazione ripresa da Capo Seattle, condottiero nativo americano, si apre il film di Barras, che sembra voler sottolineare immediatamente la sua posizione sulla questione ecologica, vissuta in questo caso attraverso gli occhi infantili dei due protagonisti. Ma, dopo aver visto il film, si ha la percezione che egli non si andato oltre la semplice dichiarazione d’intenti. Il problema di fondo rimane, infatti, l’impronta fortemente occidentale e approssimativa che finisce per attenuare i lati positivi della storia, lasciando la sensazione di aver visto un bel film dal punto di vista formale ma al quale è mancata la scintilla per renderlo veramente speciale.

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