La masterclass che si è tenuta giovedì 24 ottobre in Aula Levi delle Ex Vetrerie Sciarra è stata preziosa per tutti gli studenti curiosi di capire le dinamiche di un film giudicato da una parte della critica come “capolavoro”, che ha riprodotto fedelmente il volto infante della Roma del 753 a.C.
Questo è uno degli obiettivi che il regista Matteo Rovere si è prefissato per la realizzazione de Il Primo Re. A presentare il making of del film e a rispondere alle domande degli studenti erano presenti il linguista Luca Alfieri e l’archeologo Alfredo Moraci. Tramite le loro conoscenze, i due studiosi hanno guidato i ragazzi nell’affrontare alcune questioni che ancora adesso sono motivo di grande sorpresa e dibattito da parte della critica e del pubblico. Come ha dichiarato il linguista, “il film può essere considerato come un esperimento di ricerca applicata nelle scienze umane” e sono tanti gli aspetti per cui si distingue da un peplum classico o da un moderno film storico. Il regista, infatti, non si è riferito alla Roma del Satyricon di Fellini ma ad una Roma appena nata che doveva essere riprodotta il più fedelmente possibile da tutti i punti di vista compreso il suo volto fonico che doveva essere il più primitivo possibile.
Da quest’idea inizia l’avventura nel mondo del protolatino, una scelta linguistica voluta dal regista che, consultandosi con Alfieri, è riuscito ad ottenere il risultato desiderato. “Per un film che racconta gli albori di Roma non mi sono affidato né alla pronuncia “restituta” né all’uso eccessivo di arcaismi o di forme ricercate. Ho cercato, in accordo con Rovere, di inventare una lingua, secondo la tecnica del pastiche letterario, che rispecchiasse i criteri del verosimile”. Così Alfieri ha spiegato il suo modus operandi indicando anche e soprattutto in questa scelta il salto di qualità del prodotto e lo sforzo non indifferente compiuto dagli attori. “È fondamentale inoltre sottolineare come il pubblico si sia trovato di fronte ad una Roma completamente diversa dall’immagine oramai stantia che si ha dell’antica Roma, un’immagine in parte sconosciuta perché meno rappresentata: la Roma delle origini, quella primitiva caratterizzata da pelli di capra e capanne e non quella delle toghe e dei marmi” continua il linguista passando la parola al collega archeologo che, offrendo un quadro storico dettagliato, ha fatto capire il motivo di molte scelte di ambientazione presenti nel film.
Nell’ottica contemporanea è un punto di svolta la caratterizzazione approfondita dei due fratelli il cui rapporto è nato in una condizione primordiale in cui la natura è concepita sia come espressione divina ma allo stesso tempo come nemico da combattere. Emerge inoltre un altro elemento che rende il film ancor più vicino al pubblico odierno: il dibattito sull’esistenza di un’entità superiore e il desiderio di autodeterminarsi e di abbandonare le superstizioni. Oltre ogni giudizio critico, il film è inevitabilmente un prodotto notevole che unisce brillantezza narrativa, accuratezza storica e innovazione nella realizzazione delle scene. Quello che rincuora i due studiosi è che “l’università possa essere un punto fondamentale a cui rivolgersi nella realizzazione di prodotti culturali” come in questo caso Il Primo Re. Non ci resta ora che aspettare la serie tv di prossima uscita Romulus.