Tanti grandi nomi sono stati protagonisti di questa edizione della Festa del Cinema di Roma e molti tra i film presentati avranno sicuramente delle candidature agli Oscar ma nessuno di questi nomi ha vinto il premio del pubblico. L’ha vinto un documentario di 60 minuti, un inno allo sdegno, all’indignazione e all’amarezza: Santa Subito (trailer) di Alessandro Piva.
Quella ad essere raccontata è la storia di una ragazza pugliese, Santa Scorese, nata nel 1968, nell’anno della rivoluzione culturale. Da subito inserita nel gruppo parrocchiale, Santa non era come tutti gli altri, aveva qualcosa che la differenziava, una curiosità innata, una generosità e un’attenzione per gli altri che non aveva eguali. In questo modo la raccontano la sorella Rosa Maria, i genitori, i suoi amici più cari e coloro che facevano parte della sua vita spirituale. La vita di Santa proseguiva meravigliosamente tra l’università, le attività di volontariato e un percorso di fede che dopo gli studi si sarebbe consolidato con i voti. Ma i sogni e i progetti di Santa sono stati spazzati via dalla mano nera della violenza e del male.
All’età di vent’anni comincia il calvario, un periodo in cui tutto sarebbe potuto finire da un momento all’altro. Nelle lettere alle amiche missionarie confidava le sue paure e allo stesso tempo cercava di non impensierire i familiari che non sapevano come poter arginare la situazione. La via crucis di Santa vede protagonista una losca figura, quella dello stalker ante litteram, un tizio che per tre anni non ha fatto altro che perseguitarla e minacciarla fino a commettere il gesto estremo: spezzare con un coltello le sue ali e la sua vita. In quei tre anni infernali la povera ragazza è stata costretta a vivere sotto scorta, in un perenne stato d’ansia e soprattutto di abbandono da parte degli organi giudiziari che l’avrebbero dovuta ascoltare ed aiutare.
In questa storia di dolore che molti paragonano ad un martirio sono crollate per Santa, una ragazza che non voleva e non doveva morire, tutte le speranze che crollano ancora oggi per le tante vittime di violenza che pretendono giustizia. Un sistema giudiziario che si è mosso troppo tardi e che ha ancora molto da fare per combattere fenomeni di volenza efferata sempre più dilaganti. Il morbo che deve essere sradicato risiede nella cultura della violenza a cui l’uomo è stato da sempre vaccinato e che negli ultimi anni ha preso il sopravvento presentando degli scenari aberranti. Inutile dire che piuttosto che sante o beate, tutte le vittime di violenze dovrebbero essere vive e che lo Stato con tutti i mezzi dovrebbe agire prima che sia troppo tardi. Un passo importante è stato fatto con la legge “Codice Rosso” ma l’aspetto che si deve potenziare e su cui bisogna lavorare di comune accordo è sicuramente la prevenzione educando alla non violenza, al dialogo e al rispetto: tre parole che non restituiscono la vita a chi l’ha persa ma che sarebbero servite ad evitare che succedesse l’irreparabile e che questo possa succedere ancora.
“Io non voglio morire così” queste sono state le parole di Santa prima di morire. Il nostro compito è urlare a gran voce che non si può e non si deve morire così. Mai.