#RomaFF19: Sunlight, la recensione del film di Nina Conti

Se c’è una cosa che ogni road movie insegna è che, talvolta, un viaggio può aiutare più di quanto pensiamo. Quanti bramano l’idea di abbandonare gli asfissianti problemi della vita quotidiana? Sostituendo il rumore della città con quello dei pensieri, esplorando nuovi luoghi con la meraviglia di chi non li ha mai visti, concedendosi il tempo per respirare. Quando d’innanzi a te non c’è nient’altro che una strada, quando la meta è una ed è ben precisa, tutto sembra più facile. Come insegna Sunlight, forse è proprio di questi momenti che abbiamo bisogno di tanto in tanto, quelli che ci permettono di rinascere. 

Sunlight, presentato alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è un film dal sapore indipendente che racconta la storia di Roy (Shenoah Allen) e Jane (Nina Conti) , un’improbabile coppia di viaggiatori in fuga dal loro passato, da quelle esperienze, gravi o meno, che li hanno consumati a tal punto da dimenticarsi il significato della parola “vita”. Roy è un uomo di mezza età che vive all’ombra del defunto padre e di una madre fin troppo severa. Una notte, in preda ad un’incontrollata depressione, tenta il suicidio nella camera di un motel, fallendo nell’intento. Risvegliatosi nel suo camper in movimento, l’uomo scopre che è una strana persona  con un costume da scimmia ad averlo salvato:  Jane. I due affronteranno un viaggio per gli sconfinati e vasti territori di un’America desertica e rurale, alla ricerca della tomba del padre di Roy.

L’opera prima di Nina Conti si mostra come una pellicola piuttosto semplice, nell’accezione positiva del termine. Ad una regia descrittiva e ad una fotografia non sempre convincente, specialmente nelle sequenze diurne, il film contrappone una grande cura per i personaggi. Jane, quasi sempre nascosta in uno strano costume, fugge dai soprusi di una relazione violenta, da una quotidianità opprimente, reincarnandosi in un nuovo corpo, uno che la nasconda e la protegga dallo stesso mondo nel quale non riesce più a vivere come se stessa. Nonostante le continue battute grottesche, divertenti, improbabili, da quel peloso costume da scimmia capita che faccia capolino la vera Jane, quella troppo insicura per poter condividere un amore, quella troppo impaurita per poter ricominciare.

Ad assistere a questo conflitto interiore c’è Roy, ormai giunto nel punto più basso della sua vita, dal quale non riesce a tornare indietro. Forse per aver disatteso le aspettative di un padre dogmatico, o forse per le assenti cure di una madre severa ed innamorata dell’idea di uomo. Roy si ritrova ad aver deluso chiunque, non sentendosi abbastanza forte per coloro che lo hanno cresciuto, coloro che hanno dato al significato di “forza” quell’unica e maschilista accezione. 

La bellezza di Sunlight risiede proprio in questo, mostrare personaggi assurdi, grotteschi ma terribilmente reali, nei quali, in qualche modo, è possibile rivedersi. Così come Little Miss Sunshine, Wild, Into the Wild e molti altri, Sunlight parla ad un pubblico vasto, a tutti coloro che si sono sentiti persi almeno una volta nella vita. Per questo motivo, se passando dinanzi ad un cinema vi capita di vedere un cartellone con una scimmia (o il suo costume) dispersa in un soleggiato deserto, ricordatevi di dare una possibilità a quel film tanto assurdo quanto emozionante

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