#RomaFF19: Longlegs, la recensione del film di Oz Perkins

« Ho pensato a questo film come un viaggio nella storia dell’horror ». Queste le parole di Oz Perkins durante la presentazione del suo Longlegs (trailer) alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Caldamente atteso dopo che il pubblico fu sconvolto e attratto da quel « Mommy, Daddy » urlati da un Nicolas Cage irriconoscibile, Longlegs portava grandi aspettative con sé, non riuscendo a rispettarle tutte.

Il cinema horror degli ultimi anni ha ormai preso una strada ben precisa. A pellicole originali e uniche come quelle di Eggers, Aster o Peele si alternano lavori più ancorati al genere di cui fanno parte. Autori come Ti West con la sua trilogia X o Alvarez con i suoi continui remake e sequel hanno mostrato una tendenza chiave degli ultimi anni, ovvero quella di creare opere perfettamente consapevoli del passato che portano con sé, riproponendo concetti classici della narrazione tramite dirette citazioni.  Ad aggiungersi a questo cospicuo numero di pellicole di buon livello troviamo Longlegs, un’ opera dall’estetica invidiabile che è proprio in questa rielaborazione contenutistica che mostra le sue vere carenze.

Ambientato nell’Oregon del vecchio millennio, racconta le vicissitudini dell’agente dell’FBI Lee Harker (Maika Monroe) alle prese con un misterioso caso. Ad intervalli regolari vengono sterminate delle famiglie in luoghi diversi della zona, non essendoci segni di effrazione né di aggressioni esterne, sembrerebbe che le vittime si siano uccise tra di loro. A rendere ancora più inquietante queste morti ci sono delle lettere quasi indecifrabili che vengono lasciate su ogni scena del crimine, le quali lasciano presagire che questi eventi siano dovuti alle misteriose azioni di un killer. Come se questo non bastasse, l’agente Harker è sempre più consapevole di essere legata all’omicida in un modo che non riesce a comprendere

Nonostante l’intreccio interessante e i numerosi elementi da cui è composto, Longlegs non convince a pieno. Coerentemente con quanto detto da Oz Perkins, la pellicola è un crogiolo di concetti classici della narrazione orrorifica, non tutti ben amalgamati. Il film è chiaramente ispirato ad opere come: Il silenzio degli innocenti, Zodiac, Prisoners, True detective (specialmente nelle atmosfere), ma è quando attinge ad un immaginario diverso da questo che emergono le criticità. Per buona parte della durata le aspettative vengono rispettate, assistendo ad un’indagine apparentemente irrisolvibile che affonda le radici nel fascino lugubre e malsano di credenze sataniche. I problemi risiedono nella seconda metà della pellicola, quella in cui si percepisce la smodata voglia del regista di inserire stereotipi del genere che, purtroppo, sono in netto contrasto con quanto visto in precedenza. Bambole maledette, case infestate e le classiche suore malvagie, sono questi gli elementi che privano la storia di quel fascino di cui era permeata inizialmente e che non giovano alla costruzione dell’antagonista, abbastanza piatto se non per l’interpretazione di Nicolas Cage, ormai a suo agio in ruoli decisamente grotteschi. 

La voglia di raccontare tutto, forse troppo, è la vera pecca della pellicola, scandita da spiegazioni continue e didascaliche che annullano il mistero iniziale che tanto affascinava. Longlegs inciampa su sé stesso, cercando di raggiungere le vette qualitative dei capolavori a lui contemporanei, perdendosi in una serie di luoghi comuni più che scontati che lo allontanano da quello a cui aspirava. Nel complessivo, l’opera si presenta come un prodotto di buon livello, ma dato l’ottimo comparto tecnico e il grande cast, viene da chiedersi cosa sarebbe potuto essere se solo l’autore si fosse concentrato sulla qualità del racconto e non sulla quantità.

Al cinema dal 31 ottobre

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