Guardando alla carriera di Massimiliano Zanin, per oltre quindici anni assistente di set del maestro del cinema erotico italiano Tinto Brass, tutto ci si aspetterebbe da lui meno che The Cage – Nella gabbia, film presentato perdipiù ad Alice nella città, categoria della Festa del Cinema di Roma a target prevalentemente scolastico. Basta tuttavia vedere i primi minuti del film di Zanin per capire che Tinto Brass in questo caso c’entra poco e che l’intento del regista è tutt’altro. Siamo infatti nel genere sportivo, precisamente nel mondo del pugilato femminile, e la nostra protagonista è Giulia, interpretata da una sempre più promettente Aurora Giovinazzo.
Dopo un incontro sul ring che la lascia in gravi condizioni, Giulia si ritira dal pugilato e si dedica alla vita di coppia con Alessandro (Brando Pacitto), il suo fidanzato ma soprattutto la persona che l’ha sempre salvata nei momenti più critici, accogliendola nella comunità religiosa di cui lui stesso fa parte. A rompere l’apparente idillio arrivano però due allenatori della sua vecchia palestra, in particolare Irene (Valeria Solarino), che scorge il grandissimo potenziale di Giulia e la vuole di nuovo sul ring. La sfida della giovane protagonista è non solo quella di tornare e superare il trauma dell’ultimo incontro, ma quella molto più difficile di liberarsi dalla “gabbia” creata da Alessandro e dai dettami della comunità che lo ossessionano.
Come ogni film sportivo che si rispetti The Cage presenta tutte le tappe della crescita dell’atleta, che in questo caso vanno di pari passo con il processo di emancipazione della protagonista: la sconfitta iniziale, la proposta del coach, l’investimento iniziale, la fase di rifiuto e infine il superamento degli ostacoli che porta alla vittoria. Si tratta della più classica delle strutture narrative che però in diversi punti si rende estremamente scontata e prevedibile, a discapito di un soggetto tutto sommato originale. Sappiamo bene infatti che nel cinema italiano il pugilato (in particolar modo quello femminile) è uno sport di cui si parla poco e male, spesso associato a immagini logore di criminalità e quindi relegato alla categoria degli sport violenti.
Nel film invece la violenza sembra essere più quella del rapporto tossico e controllante con Alessandro e la comunità che quella fisica di Giulia, con la differenza che la prima è unidirezionale mentre la seconda è reciproca e consensuale. La giovane fighter deve imparare a lottare a terra – Irene non smetterà mai di ripeterglielo – , è lì che risiede il trauma dell’ultimo incontro ma soprattutto è a terra che, come immagine, si è sovrastati senza possibilità di risposta, esattamente come lo è Giulia all’interno della comunità. Zanin insiste molto sulle riprese delle lotta a terra, sull’intersecarsi sinuoso dei corpi, e se da un lato possiamo finalmente capire dove sono finiti quei famosi quindici anni con Tinto Brass, dall’altro quelle sequenze a rallentatore così sensuali e ipnotiche sono l’ennesima conferma che il pugilato, come le altre arti marziali, non celebra la violenza bensì il movimento armonico e ritmico dei corpi. Non si tratta di fagocitare l’avversario ma di testarne la resistenza.
Aurora Giovinazzo non si fa trovare impreparata per il ruolo di fighter. Il suo corpo atletico da campionessa di balli caraibici si presta benissimo alla realizzazione di film sportivi, come abbiamo visto anche l’anno scorso ne L’uomo sulla strada, ma diventa molto più realistico grazie all’aiuto di Patrizio Oliva, ex pugile e attore che veste i panni dell’allenatore Salvo e allena sia Aurora Giovinazzo che Desirèe Popper (nei panni dell’avversaria di Giulia) prima delle riprese. Quanto al resto non c’erano dubbi che la Giovinazzo avrebbe portato a casa un’altra interpretazione di altissimo livello: dopo averla vista in ben tre dei film della Festa del Cinema di quest’anno la giovane attrice romana si conferma un’assoluta garanzia all’interno del panorama attoriale contemporaneo e diventa parte di quel piccolo star system tutto italiano che si sta formando da diversi anni.
The Cage – Nella gabbia era forse un film necessario per dare nuova vita all’immagine del pugilato e più in generale ai soggetti sportivi, ultimamente accantonati dal cinema italiano. Non parliamo purtroppo di un film brillante o memorabile ma è evidente che l’approccio di Massimiliano Zanin è quello di un regista che ha un’ottima conoscenza del mezzo cinematografico, data anche da tanti anni di esperienza sul campo, e soprattutto una grande padronanza della struttura narrativa classica.