Un neonato piange incastrato nell’insenatura di una montagna. I suoi lamenti sembra non udirli nessuno. Eppure, il bambino si dispera, mentre, la natura intorno a lui, inclemente, continua a fare il suo corso. Misericordia (trailer), il nuovo film di Emma Dante, si presenta così.
Arturo (Simone Zambelli) è un giovane adulto fragile e menomato. Dopo la morte di sua madre viene cresciuto da due prostitute (Simona Malato e Tiziana Cuticchio) che lo allevano come se fosse loro figlio. Il ragazzo, incapace di parlare, si esprime attraverso il suo corpo, non riesce mai a stare fermo. Arturo rappresenta l’innocenza (spesso all’interno del film, infatti, viene paragonato ad un agnello), un’innocenza che le due donne hanno oramai perduto e che fanno di tutto per proteggere. Il paesaggio che circonda i protagonisti è meraviglioso, eppure decadente, desolato. Arturo e le sue due madri acquisite si muovono in mezzo alle rovine di palazzi, ai rifiuti abbandonati al suolo, circondati da una natura maestosa. Il ragazzo rappresenta una luce in mezzo al nero di una solitudine dilagante, è un essere candido che non è stato ancora inquinato dal marciume che investe il mondo.
Emma Dante lavora molto sui corpi. Li riprende da ogni angolazione, li frammenta. Scompone le sue figure e così facendo le caratterizza, donando loro il fascino di una dimensione inarrivabile. I personaggi che mette in scena sono estremamente interessanti. Arturo rappresenta un corpo ferito, è impossibile staccargli gli occhi di dosso. Ferita intesa come catarsi, luogo di rigenerazione. La sua figura, infatti, sembra divincolarsi continuamente in una danza incontrollata, disperata, eppure liberatoria. In generale, la storia che Dante decide di mettere in scena ha molti debiti con il teatro. Oltre ad essere la trasposizione cinematografica di uno suo spettacolo, il film si rifà ad un’estetica puramente teatrale. Lo notiamo, oltre che dall’importanza che la regista dà alla recitazione non verbale, anche dall’uso che viene fatto dello spazio. L’ambiente diventa irrimediabilmente un personaggio. I protagonisti vivono lo spazio, lo abitano con tutto il loro corpo, con tutta la loro essenza. L’interpretazione, che per certi versi può sembrare più “marcata” rispetto a quella che siamo abituati a vedere al cinema, enfatizza le volontà dei personaggi, li colora.
C’è però da non dimenticare che siamo al cinema, non a teatro. La cura che Emma Dante dimostra di avere per l’estetica, la volontà che porta avanti nel creare immagini “belle” e l’importanza (sacrosanta) che riveste la recitazione in questo film, tendono, però, ad oscurare altri elementi. Misericordia sembra mettere in scena uno spaccato di vita a discapito di uno sviluppo narrativo più lineare. Entriamo dentro le vite dei personaggi, le assaporiamo, ma poi? Cosa ci rimane esattamente a fine visione? Sicuramente suggestioni, emozioni e quella tentazione di andare a teatro a vedere questo spettacolo, ma, forse, non è abbastanza.
Dante sembra voler piegare il dispositivo cinematografico a suo favore, attribuirgli connotazioni teatrali. È una propensione che potrebbe portare ad innovazioni molto interessanti, ma, purché non si mettano da parte tutta una serie di aspetti che caratterizzano invece l’apparato cinematografico. Il rischio è quello di presentare un film che, oltre a offrire spunti illuminanti, tenda, però, ad inciampare in esercizi di stile.
Misericordia porta in scena una verità. La verità di contesti abbandonati a sé stessi, la verità di vite vissute ai margini della società, la verità di donne che vendono i loro corpi per poter mangiare. Nel trasferire questa realtà strizza chiaramente l’occhio al Neorealismo, diramandosi (e a volte perdendosi) in un assetto teatrale. Nonostante gran parte dei personaggi non riesca a trovare una redenzione, colui che si fa portatore della “ferita” di quello che è il piccolo spaccato di umanità del film, risulta indispensabile per piantare un seme di speranza.
Al cinema dal 16 novembre.