Mi fanno male i capelli (trailer) è il nuovo film di Roberta Torre, con Alba Rohrwacher e Filippo Timi, in concorso alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Racconta la storia di Monica, una donna che perde continuamente la memoria ed è destinata a dimenticare le persone care e tutto ciò che la circonda. L’unico aggancio che ha per ricordare è il cinema, in particolar modo i film con Monica Vitti, con cui si identifica talmente tanto quasi da fondersi con lei. In un film sulla resistenza della memoria dall’oblio non poteva che essere la compianta attrice romana a fungere da metafora, una delle icone più importanti dell’immaginario culturale italiano.
Il film, infatti, avanza una riflessione teorica sul potere del cinema di costruire le identità degli spettatori a partire dal fascino mitopoietico del divismo e dell’immagine in pellicola. La protagonista, che ha perso le coordinate del suo sé, ritrova una bussola nell’immagine immortale della Vitti, con cui si immedesima completamente, travestendosi come lei e recitando le sue battute. Il cinema è il modello più efficace per costruire identità individuali e collettive: non a caso, lo schermo attraverso cui Monica vede le scene della sua omonima, e attraverso cui quindi rivede sé stessa, è uno specchio, ad accentuare il concetto fondamentale di mìmesis. Torre ragiona poi anche sulla fruizione spettatoriale contemporanea e sulla possibilità di appropriarsi dell’immagine cinematografica, con una frequente alternanza di formati e la manipolazione dell’inquadratura, oltre che adottando talvolta un frammentato montaggio sperimentale per denunciare proprio l’artificialità dell’immagine.
Pur partendo da queste interessanti basi teoriche, però, il film non sembra poter andare oltre gli input iniziali e sviluppare un percorso autonomo dalle orme dei grandi del passato (con la stessa protagonista che nell’incipit del film segue proprio delle orme sulla spiaggia), rimanendo a metà tra un omaggio alla Vitti e una storia sulla memoria, in cui l’attrice è un’espediente per ragionare su questi concetti. La visione è disorientante, in particolar modo anche per l’atmosfera grottesca e straniante, ma non abbastanza, però, da rendere quest’onirismo un effettivo punto di forza, ma lasciandolo in un limbo di ambiguità poco credibile. A metà tra il sogno e la realtà, la lucidità e l’allucinazione, il film confonde ma non convince, e sembra principalmente fare affidamento sulle fantasticazioni sopra le righe dell’istrionica protagonista, con un Alba Rohrwacher alla scoperta del mondo. Lo sfondo narrativo, al cui interno agisce principalmente il marito Filippo Timi, risulta sfilacciato dal plot centrale e piuttosto inconcludente, come un elemento superfluo ed estraneo all’economia del film. La prova attoriale dei due protagonisti appare piatta e fin troppo impostata, a causa anche di una sceneggiatura sbilanciata e di una scrittura dei personaggi insufficiente; così come l’intero film, che seppur possa costruirsi da basi promettenti, non riesce a reggersi sulle proprie gambe e lascia davvero a desiderare.
Degne di nota, tuttavia, le potenti musiche di Shigeru Umebayashi, storico compositore tra gli altri di Wong Kar Wai e Zhang Yimou, tra l’altro onorato del Premio alla Carriera in questa edizione del festival.