Un titolo decisamente esplicativo quello di Comme un fils, ovvero “come un figlio”, del regista e sceneggiatore francese di origini algerine Nicolas Boukhrief. La storia si sviluppa in una cittadina della Francia dove Jaques Romand (Vincent Lindon) si trova casualmente invischiato in un’amatoriale rapina di un supermercato. I responsabili sono tre ragazzini rom di cui uno, Victor (l’esordiente Stefan Virgil Stoica) viene bloccato dal protagonista e consegnato alla polizia. Un deterrente del tutto inefficace non solo a causa della sua giovane età, che lo rende non perseguibile dalla legge, ma soprattutto per il suo status sociale. Particolarmente significativo di come vengano percepite le popolazioni rom all’interno del contesto normativo francese è il commento di un rappresentante dello Stato che li definisce come “non del tutto inoffensivi ma neanche dei veri e propri criminali”. Una categoria di individui, dunque, di cui lo Stato non si preoccupa e che lascia vivere ai margini della società, non attuando alcuna procedura e classificando la loro condizione e la loro condotta come un fattore puramente culturale. Un modus operandi molto simile a quello dello stato italiano.
L’uomo però non si da per vinto, deciso ad aiutare il ragazzino, dovrà affrontare un lungo iter burocratico che viene raccontato in modo efficace. Difatti, a questo insolito primo incontro tra i due, segue una vera e propria violazione di domicilio per cui Jacques non sporgerà denuncia. Victor, dopo essere rilasciato dalla polizia, sfonda la porta di casa del protagonista e la mette completamente a soqquadro per poi trangugiare avidamente del succo e addormentarsi sfinito nel letto di Jacques; una scena che sembra quasi essere la versione maschile della favola Riccioli d’oro e i tre orsi.
Il protagonista, una volta tornato alla sua abitazione, non solo mantiene la calma ma si prende inaspettatamente cura del ragazzo cercando poi degli istituti o delle associazioni che possano aiutarlo. Jacques viene sballottato da un contatto telefonico all’altro, spiegando più e più volte la situazione e sentendosi ripetere all’infinito la stessa identica risposta, ovvero “Non c’è nulla che possiamo fare per lui”. Victor, nel mentre, appare docile ma guardingo, pronto a correre via al primo segnale di pericolo, e rimane però molto tempo con l’uomo, l’unica persona ad aver dimostrato un minimo di gentilezza e interesse per lui. Difatti il ragazzo è un emarginato anche all’interno della sua stessa comunità, definito dallo zio e “protettore” un ashtalo ovvero un uomo a metà per via dell’unione tra il padre rumeno con la madre gypsy.
Non trovando alcuna soluzione definitiva per Victor, Jacques gli propone un patto. Il ragazzo doveva passare la giornata a organizzare e compiere continui furti per riuscire a racimolare abbastanza denaro da dare allo zio e scampare così la sua ira, tradotta come violente percosse. Jacques propone al ragazzo di fornirgli i soldi in cambio della sua attenzione e voglia di imparare nelle lezioni che terranno insieme. Una soluzione decisamente in perdita per l’uomo, che si vede costretto a vendere i suoi libri antichi, ma decisamente vantaggiosa per il ragazzo invogliato così ad alfabetizzarsi.
Nella narrazione si inserisce anche il capo di un’associazione che si impegna a alfabetizzare i ragazzi stranieri, interpretata da Karole Rocher. La donna non è la prima a domandare a Jacques perché voglia così ardentemente aiutare Victor ma sarà l’unica a trovare una risposta. Attraverso un’attenta osservazione del rapporto tra i due capisce che Jacques ha preso il ragazzo sotto la sua ala per riuscire a dare di nuovo senso alla propria vita. L’uomo lavorava come professore ma un evento particolarmente significativo lo ha spinto ad abbandonare il ruolo; difatti, tenendo una lezione sull’olocausto, Jacques ha implicitamente provocato una rissa tra i suoi studenti, il che lo ha portato a comprendere di non riuscire più ad interagire in modo funzionale con i suoi allievi.
Quella messa in scena da Boukhrief è dunque una critica alle istituzioni in senso lato come notiamo anche nella riproposizione della stessa scena, una cena tra colleghi. All’inizio del film Jacques è in compagnia degli insegnanti del suo precedente istituto che discorrono su dare o meno “del tu” ai ragazzi e, infastidito, esce fuori a fumare per mettere una distanza fisica tra i discorsi esterni e il suo turbamento interiore. La seconda cena è invece con i volontari dell’associazione dove una ragazza confessa con imbarazzo di aver perso la pazienta con una bambina e di averla rimproverata ad alta voce. Il dibattito è molto acceso e stimolante riguardo al fatto che sia giusto comportarsi “naturalmente” con un alunno nonostante le sue difficoltà. Due ambienti diametralmente opposti che indirizzano a una riflessione verso l’attinenza e l’utilità del “programma” scolastico tanto glorificato all’interno delle istituzioni.
La seconda parte del film appare però decisamente lenta e poco stimolante, nonostante il momento di grande azione che vede Jacques correre a salvare Victor dopo una violenta aggressione dello zio. Un film dallo sviluppo decisamente prevedibile ma che, comunque, è capace di raccontare in modo funzionale una storia di amicizia e rispetto reciproco, riuscendo, attraverso dei modelli positivi, a criticare implicitamente la società.