Avant que les flammes ne s’éteignent (trailer) segna l’esordio al lungometraggio di Mehdi Fikri, già autore di alcuni cortometraggi. Il regista francese si presenta al concorso della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma con un film, coprodotto da Netflix, sul disagio delle banlieue francesi e sugli scontri tra la polizia e gli immigrati che abitano questi quartieri degradati. A Strasburgo, Karim, un giovane venticinquenne francese con origini arabe, viene ucciso dalla polizia dopo un arresto, e la causa del decesso viene fatta ufficialmente attribuire ad un’epilessia causata da stupefacenti. La famiglia si attiva per ottenere giustizia e dimostrare la colpevolezza dei gendarmi, scontrandosi con un sistema repressivo e corrotto; divisi tra chi vuole fare di questo caso una battaglia politica e chi vuole solamente rendere gli onori al ragazzo defunto, inizia una lunga e difficile lotta contro le istituzioni.
Un tema decisamente caldo, attuale, con forti risonanze sul presente: non serve andare troppo a ritroso nel tempo per ricordare una Francia messa in ginocchio da violente rivolte, seguite all’uccisione del diciassettenne francese di seconda generazione Nahel Merzouk da parte di un poliziotto. Questo, però, certamente non basta. Il proposito edificante (quello di fare luce su situazioni al limite come questa e denunciare le ingiustizie del sistema) non può infatti sostenere da solo la riuscita del film, anche perché stiamo parlando di un argomento già trattato altre volte nella storia del cinema e con esiti migliori.
Per raccontare qualcosa di così sovversivo e rivoluzionario non è sufficiente puntare tutto sul fantomatico “messaggio” da imprimere nella coscienza dello spettatore, ma è necessaria una solida costruzione del linguaggio altrettanto dirompente ed esplosiva. Così, ad esempio, accadeva nel padre dei film sulla periferia francese, L’odio, metro di paragone senza dubbio ingeneroso ed esigente, ma adatto a comprendere come approcciarsi a certe tematiche. Nell’opera del 1995 di Mathieu Kassovitz, infatti, ad un contenuto decisamente spinoso e “contro”, soprattutto per l’epoca, si aggiungeva una messinscena sperimentale, di rottura, che amplificava la portata rivoluzionaria del film.
Avant que les flammes ne s’éteignent, invece, sembra non lavorare più di tanto sulla struttura formale per veicolare la sua sostanza, adottando oltretutto un’impostazione registica prettamente televisiva che non soddisfa del tutto lo spettatore del grande schermo. Si tratta di un film quadrato e ben confezionato, con una buona recitazione (tra cui spicca il rapper francese Sofiane) e tecnicamente senza particolari sbavature, fatto e finito per le piattaforme. Una serie di scelte banali e alcuni eccessivi didascalismi, però, la rendono una visione piatta, in particolar modo nel finale, che non smuove realmente le coscienze e non risulta scomoda come vorrebbe. Stiamo parlando comunque di cinema sociale, con una forte valenza politica: non è uno spazio in cui la sufficienza può essere accettata e la superficialità spacciata per profonda critica sociale. Dovremmo cercare di pretendere di più e ricordare di quando, per ribellarsi alla società, un film non ne parlava e basta, ma diventava esso stesso intrinsecamente un atto rivoluzionario.