#RomaFF17: SHTTL, la recensione del film di Ady Walter

SHTTL

Presentato in concorso nella sezione Visioni per il mondo di domani della 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, SHTTL di Ady Walter mette in scena il complesso risvegliarsi di una memoria sensibile all’interno di stratificati luoghi familiari e lontani al contempo. Mendele (Moshe Lobel) ha deciso di seguire il suo sogno e diventare un regista cinematografico a Kiev; tornato alla cittadella di Shttl (sul confine Polonia-Ucraina) dopo due anni di assenza, il giovane si scontra inevitabilmente con le vecchie tradizioni del posto che mai hanno visto di buon occhio la sua partenza. Ambientato nel 1941, SHTTL è un mastodontico piano sequenza produttore di significati. L’esordio alla regia di Ady Walter ricorda molto, sotto questo aspetto, Il figlio di Saul (2015) di László Nemes e segue in maniera quanto mai morbosa gli spostamenti giornalieri del protagonista ebreo. L’ossessivo piano sequenza diventa così una modalità di scrittura visiva attraverso cui il regista può ricalcare tanto il riemergere dei ricordi quanto lo straniamento di Mendele.

Shttl è casa del protagonista e deposito di un retrivo immaginario non più appartenente al giovane. Ciò che è familiare diventa ora inaspettatamente straniero, ed è proprio grazie a questa dualità che il piano sequenza di Ady Walter riesce a cogliere tanto la nostalgia di Mendele quanto il suo desiderio di volare via. Il conflitto familiare-straniero lo rivediamo sul protagonista interpretato da Moshe Lobel, che è di fatto un giovane perennemente indeciso e su cui pesa la maledizione di “alto tradimento”. La tematica dell’appartenenza è cruciale in SHTTL, perché Mendele è il figlio di tutti e di nessuno. Egli è l’anima errante e moderna che, avventuratasi a Kiev, ha lasciato indietro l’universo originario: la paternità malata, l’amore rubato, la religione rinnegata, i nemici schivati e la maternità abbandonata diventano strati di un uomo provato e senza un’identità certa. Mendele promette inoltre alla donna (Valeria Shpak) e all’amico (Antoine Millet) di portarli via dalla “prigione” di Shttl, ma questa è una speranza vana che muore nel momento in cui lui tradisce la terra natia.

SHTTL è a tutti gli effetti l’ultima traccia di una gioventù già condannata. Con l’avanzare del film il piano sequenza somiglierà sempre più alle parole scritte di un’ultima pagina di diario. Se Il figlio di Saul ci poneva dinanzi alla tragedia dei lager, non tagliando mai l’orrore delle camere a gas e delle fucilazioni, SHTTL ci prepara al trauma della Shoah. Gli abitanti della cittadina avvertono l’avanzare tedesco e si muovono tra l’attesa di un messia e le promesse dell’occupante sovietico. La comunità messa in crisi dal ritorno del protagonista perde la sua anima in continue faide tra ortodossi e personalità più inclini al cambiamento. All’interno di questo scenario, Mendele è la scintilla di un futuro storico ancora nel buio. In merito a quest’ultimo punto, è bene notare come il tempo presente si manifesti con un bianco e nero di dubbio e allontanamento; i flashback del protagonista sono al contrario una tavolozza di colori caldi che raccontano invece il tempo lontano delle certezze. SHTTL è una parabola di risentimento e morte. Forte di un piano sequenza solenne e micidiale, l’opera di Ady Walter è il racconto ravvicinato di un’anima in pena che cammina sul filo spinato del Purgatorio e dell’Inferno.

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