#RomaFF17: Ramona, la recensione del film di Andrea Bagney

Ramona

Presentato in concorso nella sezione Progressive Cinema della 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Ramona (trailer) di Andrea Bagney racconta l’incostante percorso psicologico di una femminilità che è preda delle sue stesse incertezze amorose. Ramona (Lourdes Hernández), chiamata da tutti Ona, si imbatte nel curioso regista cinematografico Bruno (Bruno Lastra). Da subito innamorato di lei, l’uomo farà precipitare Ona in una spirale di dubbi circa la propria relazione col marito Nico (Francesco Carril).

Il film di Andrea Bagney è tanto il richiamo citazionista alla cinematografia di Woody Allen quanto il felliniano e sorrentiniano tentativo di superare la realtà in favore di quella vita che è il Cinema. Anzitutto il regista spagnolo apre il film con alcuni meravigliosi scorci su una Madrid illuminata da un seducente bianco e nero – anche il Maestro in Manhattan (1979) ci lasciava conoscere così la sua città natale – e poi dipinge lo schermo con scene a colori che trascendono la noiosa ordinarietà – “La realtà è scadente, non mi piace più” dice Fabietto Schisa ricordando Federico Fellini in È stata la mano di Dio (2021) di Paolo Sorrentino.

Ona non è sicuramente ai livelli di Woody Allen e delle sue nevrotiche conversazioni, eppure durante la visione del film è palpabile quell’ansia tipicamente alleniana sul decidere cosa fare della propria vita. Ramona è diviso in capitoli somiglianti a tante pagine di un romanzo ed ogni suo capitolo racconta il crescere di una tensione amorosa. Questa è descritta molto bene dal film, soprattutto quando la donna rivela le sue scontentezze: Ona va ad una festa organizzata da Nico, ma non si diverte e così scappa a ballare in discoteca; il regista ha una nuova fiamma, e allora Ramona corre via dalle prove attoriali perché non sente più di avere l’attenzione di Bruno. Ramona è una donna incostante che, seppur desiderosa di imporre un ordine alla sua vita, non sa prendere una scelta. A livello registico la nevrosi alleniana incontra il distico bianco-nero e colore; le uniche parti a colori del film sono i momenti in cui Ona recita di fronte ad una telecamera, mentre lo sguardo del regista è ammaliato dagli occhi grigi dell’attrice. Vincerà il bianco e nero di tutti i giorni o la tavolozza amorosa del Cinema? Ona vive la magia al rovescio de Il mago di Oz (1939, Victor Fleming) e, al contrario di Dorothy, non segue un viaggio dell’eroe che le consenta di tornare corazzata nel mondo ordinario.

Il personaggio interpretato da Lourdes Hernández è la vittima di quel Cinema/mondo extraordinario che tanto le piace ma non la sfama: insistendo nel voler partecipare al film di Bruno, ella precipita in una magia che le scombussola i sentimenti. Non a caso la donna lamenta spesso la sua incapacità decisionale e la sua volontà di ritirarsi dal film per ricominciare gli studi e trovare un lavoro sicuro. Ramona è in tal senso anche il racconto sul decomporsi dei propri sogni d’attrice. Anche nelle sue parti divertenti il film sembra essere rivelatore di una verità spiazzante, come quando ad esempio Nico rimprovera Ona col sorriso e le dice “Sei una stupida” per non aver accettato la parte nel film di Bruno. La verità nelle parole del marito porta in superficie i dubbi che consumano per tutto il film la protagonista. Ramona di Andrea Bagney non è assolutamente categorizzabile in un genere preciso. È un ibrido con punte di autorialità su una donna che brama un punto fermo nella sua vita, specie quando la scelta tra marito o regista si fa sempre più complicata.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.