«C’era una volta tanti anni fa, una gentile signora di nome Mrs. Harris…». Tale gentildonna, interpretata da una convincente Lesley Manville – cui pare esserle stato cucito addosso un personaggio su misura (per restare in tema) – ha il compito di portare avanti una narrazione favolistica dalle sfumature Disney. La favola in questione è Mrs. Harris Goes to Paris (trailer) il nuovo film di Anthony Fabian presentato alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma e disponibile in sala dal 15 ottobre 2022.
L’ambientazione, la palette dei colori, le sonorità e un iniziale generico retrogusto di Mary Poppins la dicono lunga sulla targhettizzazione di questo prodotto che già dai primi minuti è ben riconoscibile e ben radicata nel nostro immaginario cinematografico: la pellicola è infatti senza ombra di dubbio una piacevole commedia per famiglie. La sua piacevolezza non va cercata nei tecnicismi quali ad esempio la regia o la sceneggiatura che, nella loro semplicità, si consumano in questo viaggio a Parigi compiuto dalla protagonista alla ricerca dell’abito dei suoi sogni in una boutique di Christian Dior (sì, può risultare a primo impatto tutto estremamente superficiale). Bensì, come in ogni favola che si rispetti, la vera perla del film si nasconde oltre il guscio delle apparenze, ossia nella morale e, in questo caso specifico, nella volontà dello spettatore di tradurla in qualcosa che sia effettivamente stimolante.
Fortunatamente, Mrs. Harris Goes to Paris ha la capacità di parlare un linguaggio universale che il suo pubblico riesce a comprendere senza barriere di difficoltà, regalandogli anche la possibilità di tornare a ragionare per un paio d’ore con l’autenticità e la spontaneità dell’infanzia. Non è necessario quindi crogiolarsi troppo su delle possibili criticità se il presupposto di partenza appena ci si siede in sala è quello di godersi la pellicola per ciò che è senza troppe pretese.
A tal proposito i temi discussi sono molteplici e in certi casi anche molto interessanti: Mrs. Harris s’interroga ad esempio sulle motivazioni che la spingono a uscire fuori dalla “confort zone” del suo lavoro, arrivando a un certo punto della sua vita in cui si rende conto che solo spingendosi oltre alle apparenze può «rendere visibile l’invisibile» riportando alla luce l’unicità sia nelle cose (un vestito di haute couture) che nelle persone (lei stessa e i personaggi che incontra durante la sua permanenza parigina). Per non cadere nella trappola contraddittoria delle etichette è dunque giusto concedersi il dubbio e aspettare fino alla fine per chiedersi se effettivamente valga la pena o meno rivalutare quell’iniziale sensazione di “leggerezza”.
Menzione speciale a Isabelle Huppert e alla costumista premio Oscar Jenny Beavan.