Presentato nella sezione Freestyle della 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Lola è l’opera prima di Andrew Legge. Siamo nel 2021: in una casa di campagna inglese viene ritrovato un found-footage di fine anni ’30 e inizio ’40 realizzato da due sorelle: Thom (Emma Appleton) e Martha (Stefanie Martini). Le due hanno creato una macchina, Lola, che cattura segnali provenienti dal futuro. Grazie ad essa è possibile vedere ciò che avverrà, i cambiamenti a cui andrà in contro la società e soprattutto gli eventi della Seconda guerra mondiale. Lola diventa per le due sorelle uno strumento fondamentale per aiutare gli inglesi a sconfiggere i nazisti, che non riusciranno però a prevedere gli effetti delle loro azioni.
Quello di Andrew Legge è dunque un mockumentary che utilizza le possibilità offerte dal montaggio per creare una storia che mescola riprese di finzione con altre d’archivio senza soluzione di continuità. Attraverso l’immagine diventa possibile ripensare la Storia, ricrearla e anticipare eventi futuri. Ma cambiare la Storia comporta dei rischi.
Thom vede nella tecnologia la possibilità di creare una società migliore in cui non vi siano più ingiustizie, ma non sembra essere interessata al fatto che modificare gli eventi significa anche riscrivere il futuro. È un’idealista, come lo era il padre, ma a tal punto da rischiare la psicosi. Per lei il sacrificio di pochi può essere accettato in nome del bene comune. Niente metterà in discussione la sua fede nella tecnologia, anche quando verrà posta davanti a fatti difficilmente contestabili. E questo metterà anche in crisi il suo rapporto con Martha. È qui che si innesta la questione della sorellanza e di un legame così forte da riuscire a superare difficoltà e crisi.
Muovendosi tra commedia distopica e dramma spionistico, Lola finisce però col trasformarsi in un giocattolino piuttosto programmatico e poco divertente, a tratti retorico nell’affrontare la “questione morale” (cosa può essere ritenuto accettabile per salvare delle vite?) e col rischio di creare un effetto di saturazione nello spettatore dopo i primi 20 minuti. E l’ultima inquadratura è qualcosa che ci saremmo volentieri evitati.