La selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma si tinge di giallo con The Lost Leonardo, il docufilm di Andreas Koefoed che racconta la storia travagliata di un Salvator Mundi attribuito da alcuni, tra cui la restauratrice Dianne Modestini, a Leonardo da Vinci: un’opera enigmatica che ben si addice ad un artista come il Genio fiorentino.
Il regista ripercorre le vicende di quest’opera attraverso la viva voce dei protagonisti a partire dai due sleeping hunters, Robert Simon e Alexander Parish, che hanno comprato l’opera ad un’asta di New Orleans a 1175 dollari, un prezzo davvero irrisorio considerando che nell’ultima asta che l’ha vista protagonista è arrivata a costare 450 milioni di dollari.
È naturale chiedersi come mai la stessa opera abbia cambiato il suo prezzo di vendita in maniera così considerevole e, tenendo in mente questo quesito, lo spettatore riesce a rivivere le numerose peripezie che hanno coinvolto quella che poi è stata definita un’opera di Leonardo. Nonostante possa sembrare avvincente la storia, la visione non ammette distrazioni altrimenti il rischio di perdere il filo del discorso è molto alto. Un aspetto che però, soprattutto nella seconda parte del film, riesce a tenere vivo l’interesse dello spettatore, è quello costituito non dalla discussione sull’effettiva paternità dell’opera ma dal significato che l’opera ha assunto in un contesto extra artistico lasciandosi alle spalle un’eco talmente enorme da far lievitare il suo valore economico in maniera così vertiginosa.
Dopo essere stata passata dalla National Gallery nelle mani di un miliardario russo Dimitrij Rybolovlev, l’opera arriva alla casa d’asta newyorkese Christie’s fino a raggiungere, si presume, gli Emirati Arabi Uniti e le mani del principe saudita Mohammed Bin Salman, compiendo quindi un vero e proprio giro del mondo e diventando il simbolo di come l’intero mondo dell’arte nasconda un lato oscuro, nascosto, legato non allo studio dell’opera in quanto tale ma fortemente vincolato all’opera d’arte intesa come merce, come bene in cui “rifugiare” capitali economici immensi, come strumento politico. Nel film, infatti, viene messo chiaramente in evidenza come un paese come la Francia si sia trovato tremendamente in difficoltà quando, nel 2019, il Louvre ha organizzato la mostra per i cinquecento anni dalla morte del Genio fiorentino con l’intenzione di raccogliere tutte le sue opere, consapevole che avrebbe dovuto affrontare anche la questione Salvator Mundi: sarebbe stato disposto il Louvre ad esporre quell’opera come un Leonardo pur di salvare i rapporti diplomatici tra i due paesi? Da quello che emerge, il museo avrebbe fatto dei controlli appurando alla fine la paternità del Maestro di Vinci ma l’opera è stata comunque la grande assente alla mostra perché non è stata accettata la condizione di esporla nella stessa stanza della Gioconda.
Il più grande rammarico di Dianne Modestini è quello di non vedere quell’opera in un museo affinchè tutti possano ammirare e condividere così tanta bellezza. La Bellezza che trova nell’Arte una delle sue massime espressioni non dovrebbe essere qualcosa di esclusivo, uno strumento che fa sentire un falso dio chi pensa di averla catturata. Dovrebbe essere lasciata libera di impreziosire il mondo e di salvarlo. Sicuramente questo avrebbe voluto Leonardo, anche se magari quell’opera non l’ha dipinta lui.