Luigi Proietti, detto Gigi non è solo un omaggio ad un grande Maestro ma è un atto d’amore che Edoardo Leo ha compiuto verso un pubblico orfano di un padre, un fratello, uno zio, un amico. Una genesi, quella del documentario atteso e presentato in questa edizione della Festa del cinema di Roma, che sicuramente non aveva previsto che il protagonista non potesse assistere al lavoro compiuto. Un lavoro che non ha potuto ripercorrere tutta la carriera sterminata di Proietti e che quindi a malincuore ha dovuto presupporre delle scelte che però sono state fatte con scrupolo e parsimonia e che hanno selezionato gli episodi più iconici della carriera del Maestro.
Inediti e affettuosi sono stati gli interventi della sorella Anna Maria che hanno restituito al pubblico l’immagine di un Gigi paradossalmente molto timido ma con una voglia di vivere, ridere e soprattutto far ridere innata e che aveva già dimostrato fin dalla tenera età di tre anni. È evidente quanto i due fossero molto legati e quanto lui fosse molto legato alla sua famiglia, a cui chiedeva il responso dopo ogni spettacolo. Se in privato era timido, ovviamente in pubblico era tutto il contrario: un vero e proprio vulcano, imprevedibile, capace di tirare fuori dal cilindro sempre qualcosa di nuovo e di non preparato. Quello che Leo cerca di fare, come ha ben messo in chiaro all’inizio, non è un documentario canonico sul personaggio di Gigi Proietti ma è una ricerca ben più ambiziosa: capire il suo segreto. Una missione difficile che lo ha costretto quindi ad andare molto indietro nel tempo, sino al suo fortunato complesso musicale che poi lo ha convinto a passare al teatro impegnato, per poi ad arrivare a quello più popolare non disdegnando né la televisione e neanche il cinema.
Riesce dunque ad emergere in questo documentario l’anima poliedrica di un Artista instancabile che sapeva e poteva fare tutto e ha dato sempre prova di come si potesse fare sempre tutto soltanto se fatto bene. A dimostrazione di questo, Leo si sofferma, parlandone proprio con Proietti, soprattutto su uno show che ha rivoluzionato il teatro italiano e ha condizionato da quel momento in poi il modo di stare sul palco di molti e attori e showman ovvero A me gli occhi, please. Con questo kolossal teatrale Proietti ha fatto capire a tutti il suo segreto che anche Leo verso la fine intuisce: la capacità di essere umile, un gladiatore timido che non si è mai sentito un divo e ha messo sempre la sua bravura al servizio degli altri.
Per ricordare Proietti, Leo non ha usato soltanto filmati di repertorio ma ha anche chiamato diversi attori che hanno avuto modo di conoscerlo di viverlo sul palco e soprattutto fuori dal palco come Paola Cortellesi, Loretta Goggi, Marco Giallini e Alessandro Gassmann, allievi di un uomo che ha fatto scuola ad una nuova generazione di attrici e attori senza sentirsi mai un maestro. Perché la recitazione non si insegna ma si impara, si vive e lui questo lo ha dimostrato con la sua lunga carriera che avremmo voluto non fosse finita mai.