Secondo premio alla carriera di questa edizione è stato Tim Burton e, per celebrare l’occasione, è stato organizzato un incontro ravvicinato diretto da Antonio Monda, in cui si sono ripercorse le principali tappe e i film del regista.
Qual è il primo film che hai visto?
Il primo film che mi ricordo di aver visto al cinema è Giasone e gli argonauti, un film indimenticabile. Lo vidi in una sala straordinaria in California, in cui sembrava di essere come in una conchiglia. Quindi film straordinario, sala indimenticabile, scene di combattimento con scheletri: questa è la mia prima esperienza di cinema.
Hai cominciato con l’animazione. Ci puoi parlare del mondo dell’animazione Disney degli anni ’80?
Si trattano probabilmente dei miei giorni più bui, perché c’erano moltissime persone con enorme talento e creatività e invece si facevano film come The Fox and the Hound che richiedevano 10 anni di lavoro. Avevi a disposizione persone geniali come John Lasseter che poi hanno creato il mondo della Pixar, insomma non c’era spazio per tutti questi talenti. Devo dire poi che ho avuto un enorme fortuna, perché ero un pessimo animatore. Alcuni sostenevano che, il personaggio che avevo realizzato, ovvero la volpe, sembrava fosse stata investita da un’auto. Per fortuna, essendo incapace, poi sono passato a fare altre cose.
Ho chiesto a Tim di scegliere un regista italiano. Perché hai scelto Mario Bava e cosa ti piace del suo cinema?
Il motivo è semplice negli anni ’80 a Los Angeles andai con un gruppo di amici ad un festival horror, che avevano queste maratone di 48h. Solitamente si tendeva ad addormentarsi prima o poi, mentre invece mi ricordo perfettamente La maschera del demonio (Black Sunday), che era come un sogno. Lui era in grado di questo senso onirico, spesso un incubo e sono in pochi ad avercela fatta. Tra loro Fellini e Dario Argento.
Possiamo parlare del rapporto che hai avuto con gli scenografi?
Ho avuto la fortuna di lavorare con degli straordinari artisti. Per me la scenografia o la musica fanno parte del film e sono quasi un personaggio. Avendo avuto la fortuna di lavorare con grandi artisti come Gabriela Pascucci e Dante Ferretti. Per me appunto la scenografia ha un ruolo fondamentale, come per esempio in Sweeney Todd, e ho avuto la fortuna di aver lavorato con dei grandi artisti come loro.
Ci puoi parlare un po’ del processo di sceneggiatura e scrittura dei tuoi film?
Non mi considero uno sceneggiatore o uno scrittore, parto quindi da delle idee e collaboro con chi sa fare questo mestiere. Il personaggio di Ed Wood nasce da una mia esperienza d’infanzia o nel caso di Nightmare Before Christmas non era materiale mio. Cerco sempre quindi di trovare qualcosa con cui rapportarmi e poi nascono grandi collaborazioni, similmente a quanto accadeva alla Disney.
È vero che Mars Attack è stato ispirato a delle cartacce di gomme?
Mettendo da parte grandi romanzi, grandi opere letterarie, sì, io sono partito proprio da quelle carte. Come potete capire, ho avuto un’infanzia un po’ contorta.
Tu hai uno degli immaginari più riconoscibili, uno stile visionario immediatamente amato e apprezzato da tutti. Lavori però spesso con Studios, quali sono i limiti e quanto è difficile lavorarci?
In realtà ho fatto soltanto film con gli studios, in effetti sono stato in una posizione insolita, ma nonostante questo sono riuscito sempre a fare ciò che volevo. Ancora non riesco a capire come, dato che li si tratta di soldi e business. Forse perché non capivano quasi mai cosa stessi facendo.
È vero che Batman Returns veniva considerato pericoloso per bambini?
Su quel film c’era molta confusione: dicevano sia che era molto più dark del primo e sia che era molto più luminoso. Anche gli studios erano molto perplessi e McDonald non era per niente contento, dato che con gli Happy Meals si ritrovavano questo personaggio del pinguino da cui usciva una robaccia nera.
Ritieni che i limiti e gli interessi legati al profitto degli Studios sono appunto un limite o semmai uno stimolo per cercare delle forme espressive che aggirino questa cosa?
Devo dire che il cinema è un’opera collettiva, che vede collaborare tante figure diverse. Se sei un pittore lavori da solo, ma nel cinema questo sforzo collettivo è una fonte di gioia. Quando si parla del budget di un film, è un po’ come controllare le condizioni metereologiche, poiché ci sono moltissime lementi impalpabili e intangibili. Nonostante abbia lavorato molto con gli studios, non mi sono mai sentito limitato e ho avuto molta libertà.
Altro elemento importante è il pubblico. Ci puoi parlare un po’ di che rapporto hai per esempio con le audience previews?
Amo fare film, ma sono sempre terrorizzato nel rivederli. Queste proiezioni prova comportanto di riempire dei moduli da parte del pubblico che chiedono cose come “ qual è il tuo personaggio preferito” e alla fine se ne fa un uso distorto. Si puoi vedere se ridono per una commedia o se si spaventano per un horror, però è molto difficile rendersi conto della percezione del pubblico. Mi piacerebbe dire che amo rivedere i miei film, ma non è così.
Com’è stato lavorare con un grande della musica contemporanea come Christopher Bond per Sweeney Todd?
Fu un’esperienza molto difficile mostrargli il film. Glielo mostrai solo una volta finito e per fortuna gli piacque. Ero molto preoccupato chiaramente, perché nessuno degli attori era un cantante, ma a lui non diede fastidio e fu molto aperto. Fu di grande sostegno, nonostante cambiammo anche delle cose, ma a lui andò bene.
Quale sono le difficoltà di fare musica?
È stato estremamente divertente. So che può sembrare assurdo, ma mi è sembrato di fare un film muto, per la presenza costante di musica. Mi sono divertito molto, più di altri film.
Oltre che in Big Eyes, anche in Ed Wood tratti la tematica degli artisti e cosa li rende tali. Per te cos’è l’arte?
Beh io mi ricordo che questi i quadri della Keane venivano appesi nei salotti di tutte le case, io invece li trovavo molto inquietanti. Mi chiedevo come mai potessero piacere così tanto e questo ci fa riflettere sul senso dell’arte. È molto interessante e ci porta a riflettere, perché veniamo tutti toccati in modo diverso da quello che vediamo. Per me erano inquietanti, altri li trovano così belli da metterli nelle stanze dei loro bambini. Questo ci porta a riflettere sull’essere dell’artista: ad alcuni piacciono certe cose, ad altri no.
Ci parli un po’ dell’esperienza che hai avuto con il MoMA?
È stata una sorpresa straordinaria. Io sono un pessimo archivista, quindi si è trattato di frugare nei cassetti per trovare queste opere. È stata un’esperienza indimenticabile e che mi ha riempito di gioia. Tra l’altro è stata la mostra con più successo, quindi è stato incredibile. Mi reputo un artista, ma fa pensare che delle opere d’arte riescono ad ispirare gli altri.
Di Ed Wood voglio ricordare in particolare la scena in cui lui, considerato il peggior artista di tutti i tempi, incontra Orson Welles, considerato invece il migliore, e vediamo che hanno gli stessi problemi.
Si è veramente straordinario perché Ed pensava che stesse girando Star Wars, aveva una passione tale che ritroviamo anche nei suoi diari, dove si reputa tra i più grandi. Questo ci riporta al discorso precedente su cosa è l’arte e su cos’è merda.