Dopo il documentario di Alex Infascelli su Francesco Totti, il mondo del calcio ritorna protagonista alla Festa del cinema di Roma con Tigers (clip), film del regista svedese Ronnie Sandahl basato sull’esperienza sul campo da gioco di Martin Bengtsson, giovane promessa connazionale del regista, interpretata nel film da Erik Enge, che ha raccontato nel suo libro In the shadows of San Siro il tormentato periodo in casa Inter nel 2005.
Nulla è più esaustivo di questo titolo per guidare lo spettatore all’interno di un modo diverso di vedere il mondo del calcio. Un mondo che il giovane Martin sogna fin da bambino, da quando, col padre, guardava le partite della Serie A in televisione e si era innamorato dell’Inter, il club che un giorno sarebbe dovuto diventare la sua casa. Arrivato in Italia la sua vita cambia: forse è davvero riuscito ad esaudire il suo sogno e ce la deve mettere tutta per non mollare e non deludere chi ha creduto in lui.
Sandahl insegue con la macchina da presa il sogno del giovane Martin raccontando la vita all’interno della casa delle giovani promesse. È evidente la destabilizzazione che Martin provoca all’interno della squadra già formata e legata ma è altrettanto evidente la debolezza di un ragazzino alieno ad un mondo che si rivelerà più grande di lui. Ad evidenziare ancora di più la difficoltà del ragazzo ad inserirsi all’interno del gruppo, il regista utilizza in Tigers la lingua come simbolo di incomunicabilità e straniamento: i compagni parlano poco in inglese mentre lui non sa nulla di italiano. Martin però è determinato e se non può farsi capire con le parole, lo farà con i piedi dimostrando la sua bravura che si rivelerà molto presto un’arma a doppio taglio. I dirigenti, primo fra tutti il direttore Galli (interpretato da Maurizio Lombardi), lo apprezzano ma pretendono molto da lui aumentando così la sua frustrazione, la paura di andare via, di non fare abbastanza e di vedere infranto quel sogno.
Sandahl rende palpabile questa frenesia alternata a momenti di puro sconforto, dolori a cui seguono poche gioie che saranno per Martin un ulteriore problema. Durante il suo soggiorno milanese fatto di abiti firmati, luci e ricchezza conoscerà Vebike ed inizierà tra loro una storia. Per una giovane promessa però non c’è spazio per l’amore, non c’è spazio per il sentimento, per qualsiasi distrazione dall’obiettivo. Lo spettatore vive con Martin il peso di questa situazione che lo porterà alla dolorosa scelta di troncare il rapporto con la giovane modella. Ora è rimasto completamente solo senza nemmeno l’unico compagno di squadra che gli era stato vicino fin dall’inizio che nel frattempo era stato venduto ad un altro club.
Quello di Tigers è un forte atto di denuncia verso i meccanismi del mondo del calcio, da una parte forse troppo impregnati di una virilità che non lascia spazio alla sensibilità e dall’altra guidati da un’industrializzazione che trasforma dei giovani ragazzi in macchine, numeri, cavalli di razza che non devono deludere le aspettative. Una solitudine devastante che turba il pubblico che, come Martin, non riesce a capire quale possa essere la via d’uscita. Martin riesce a trovarla dopo un incidente e soltanto in quel momento, dopo aver rischiato la vita, capisce che quel mondo non gli appartiene, non era quello il suo sogno perché una tigre come lui, anzi, le tigri come lui non possono essere tenute in gabbia.