Film di apertura della diciottesima edizione di Alice nella Città – la sezione parallela e autonoma della Festa da sempre attenta ai giovani sguardi – Stray (trailer) è un documentario della statunitense Elizabeth Lo, cineasta che negli anni si è fatta notare nei più importanti festival del mondo (Sundance su tutti) per l’attenzione verso quelle fasce più sensibili e meno considerate della società odierna a stelle e strisce. Lo, al suo primo lungometraggio e prima coproduzione internazionale (che vede anche la partecipazione di Apple), stavolta si è diretta in Turchia, per affrontare la delicata tematica del randagismo. Un particolare tema che nel corso degli anni è stato più volte riconsiderato, dal governo turco, come un problema prima da estirpare e poi da tutelare (al momento la soppressione e il sequestro dei cani randagi è proibito nel paese, come recita una didascalia ad inizio film). Girato tra il 2017 e il 2019, il film non manca neanche di sottolineare altre particolarità del paese in cui è stato girato: cogliendo, ad esempio, nelle giornate dei protagonisti a quattro zampe dialoghi e dissapori comuni della società turca circa il discutibile presidente Erdogan, in momenti storici come il referendum del 2017 che gli ha concesso i pieni poteri.
Lo sguardo della cineasta in questo progetto si china letteralmente all’altezza dei suoi protagonisti, per farci immergere (anche grazie al ricorso di un’imbracatura indossata dai cani sulla quale è stata montata una cinepresa) nelle loro quotidianità fatta di movimenti istintivi, casuali, così distanti dal nostro modo di concepire il mondo da sembrare assurdi. Non a caso, come ci ricorderanno delle didascalie citanti Diogene, uno degli scopi di Lo è stato proprio quello di far interessare lo spettatore a questo animale che tanto avrebbe da insegnarci, rischiando tuttavia in alcuni momenti di risultare ripetitiva per l’eccessiva comparsa a schermo di questi aforismi, nonostante la breve durata di settantadue minuti.
Ma il vero punto di forza di Stray, quello più sincero e poetico, è quello che si sprigiona nelle sequenze dove il gruppo di cani viene a contatto con dei giovani senzatetto siriani appena giunti ad Istanbul. Quello che si instaurerà tra i due gruppi – i ragazzi e i cani – sarà un rapporto di reciproco amore “non dichiarato” fatto di piccoli gesti (abbracci, carezze) e istintivo tanto quanto la routine dei cani, sul quale la regista tornerà più volte andando a costituire una drammatizzazione così sfuggente da coinvolgere emotivamente lo spettatore per i risvolti che avrà nel corso del film.