Nella storia del cinema, il genere d’animazione è stato capace di sperimentare grazie alla sua immaterialità: distaccato dai limiti della realtà, ha un campo infinito su cui esternare la propria creatività, e quindi anche esagerare e spingersi oltre la percezione dello spettatore, cogliendolo alla sprovvista. Per questo motivo, i primissimi minuti di Soul (trailer), nuovo film di Pete Docter e del co-regista Kemp Powers, forse deludono, poiché sembra che la Pixar spinga il film a prendersi troppo sul serio: ambientato a New York, i suoi personaggi sono umani, il suo protagonista è un professore frustrato e persino il colpo d’occhio, grazie alla tecnica ormai che sfiora il fotorealismo, sembra rimandare al cinema con attori in carne e ossa. Dov’è quindi la libertà irrazionale concessa al cinema d’animazione? Dov’è il cinema d’animazione? I dubbi assalgono la visione almeno finché non accade uno sviluppo.
Il protagonista è un pianista jazz con ambizioni da musicista professionista, finito però a fare l’insegnante in una scuola media composta da studenti svogliati. Lo stesso giorno in cui riceve la notizia di essere diventato un maestro di turno – notizia che lo intristisce perché rappresenta la fine delle sue ambizioni – arriva anche l’occasione che aspetta da una vita, ovvero di suonare in un famoso quartetto jazz. Preso dall’entusiasmo, corre per strada felicissimo, così non nota una catasta di mattoni che rischia di schiacciarlo o un’auto che per poco non lo investe. Ma la sua fortuna finisce e precipita in un tombino, ruzzolone che lo fa finire in uno stato comatoso in cui l’anima si distacca dal corpo e finisce nell’Ante-Mondo, popolato da anime che vanno verso la morte o piccole anime pronte ad approntare sulla Terra. A questo punto, con i titoli iniziali, incomincia il viaggio straordinario di Soul.
A un contesto perfettamente verosimile come quello dei primi minuti del film, arriva in contrapposizione un ambiente del tutto irreale, in cui il mondo animato prende il sopravvento e permette al racconto, non solo di sentirsi a proprio agio, ma anche di librarsi nella libertà irrazionale concessa dal cinema d’animazione. Ma è a questo punto che il genio di Soul mostra il suo fascino, poiché il racconto meraviglia lo spettatore per due principali motivi. Il primo sono le soluzioni narrative. La Pixar, e forse Docter in particolare, ha la capacità di riuscire a dare una consistenza narrativa a concetti di solito astratti. In Soul si discute del senso della vita, e lo si fa con una facilità che coglie sicuramente alla sprovvista lo spettatore. Gli argomenti impegnativi però non finiscono qui e spaziano dalla depressione alla realizzazione di sé, eppure vengono tutti gestiti dal film con una naturalezza che li rende perfettamente accessibili a chiunque.
Il secondo motivo è legato all’esperienza della visione: Soul è straordinario – si potrebbe dire da vedere, tuttavia l’avventura coinvolge anche grazie al comparto prettamente sonoro, per questo forse il termine più adatto sarebbe provare. Il mondo ipotetico e assurdo dell’Ante-Mondo impressiona lo spettatore, perché la creatività pixeriana sperimenta e, grazie anche alle musiche eccezionali, la sensazione che trasmette la visione è quella di un viaggio entusiasmante a tratti onirico. Soul è cinema da sentire addosso, legato a ciò che lo spettatore percepisce con i propri sensi.
Forse come non accadeva da tempo, Soul riesce a mettere d’accordo grandi e piccoli con il proprio carattere versatile: ci sono gag slapstick che fanno sorridere chiunque (spassosa la scena della ‘guida del corpo’), però non mancano i riferimenti che possono intuire soltanto gli adulti, così come ci sono scene maggiormente adatte ai più piccoli. Però sarebbe riduttivo consigliare Soul soltanto a un determinato pubblico, poiché il suo carattere consente di sorprendere davvero chiunque, in quanto è un film che ricorda e ritorna a uno degli scopi più belli del cinema, ovvero quello di ricordare la sua bellezza attraverso un racconto visivo entusiasmante che coinvolge emotivamente lo spettatore.