#ROMAFF15: Home, la recensione

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Una zona rurale degli Stati Uniti. Le case sono circondate da staccionate improvvisate, mentre negli angoli si accumulano rifiuti. Gli abitanti sono degli emarginati che tentano di sopravvivere alla giornata. Anche il prete sembra un forsennato: non indossa il colletto, dice le parolacce e viene chiamato per nome, Bruce. In questo contesto trascurato, arriva Marvin (Jake McLaughlin), anzi ritorna dopo circa diciassette anni di prigione. Tutti sanno chi sia e nessuno ha dimenticato cosa ha fatto, anche se lui, ormai quarantenne, è un uomo che vorrebbe soltanto essere perdonato e prendersi cura di sua mamma malata (e non una mamma qualunque, ma interpretata dall’attrice Kathy Bates). Home, esordio alla regia dell’attrice e cantante Franka Potente, è un film che mostra le conseguenze di trascinare per vent’anni il peso di un fatto terribile.

Nella prima parte, Potente intesse una ragnatela di curiosità non rilevando subito il motivo per il quale tutti conoscono Marvin. Quando si scopre il crimine commesso, allora entra in gioco il contrasto: vengono mostrate le conseguenze sia sulle vittime che sul carnefice, tuttavia quest’ultimo viene presentato come benevolo, mentre le vittime diventano cattive. Home però scopre poco a poco le proprie carte, utilizzando uno stile che ricorda molto i serial, anzi forse un po’ troppo. Però il problema narrativo più fastidioso arriva nel secondo atto del film, quando la narrazione inciampa in diverse ingenuità pur di creare spettacolo, una soluzione narrativa che però non convince mai del tutto, anche per colpa di una diluizione che allenta l’interesse dello spettatore.

«Quanto sta male una persona che non sente più niente?». Già dal titolo si intuisce che Home vorrebbe parlare dei propri personaggi partendo dagli ambienti in cui vivono. Per questo le case dei protagonisti sembrano topaie: quella che sembra una casa popolare malmessa, una casa singola trascurata, una roulette disordinata. L’idea su cui si sviluppa il plot è il ritorno di Marvin e l’elaborazione del dolore, che cambia da persona a persona, tuttavia Home è anche un racconto su quelle zone rurali statunitensi dove ogni cosa, ma soprattutto ogni persona sembra ormai esistenzialmente sbiadita, incapace di aggregarsi a una società funzionante e socialmente accettabile. In questo deprimente quadro di emarginati, però Il film non riesce a esprimere una propria personalità e avanza attraverso una sceneggiatura poco convincente.

Lo stile di Potente è tipico di un certo cinema indipendente statunitense: moltissima camera a mano, con una messa a fuoco sfalsante che a volte opera per creare confusione nello spettatore. Per il resto, il plot banalizza ogni aspetto interessante del soggetto in favore di una narrazione che appiattisce ogni sviluppo e cede a una carica drammatica fine a se stessa.

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