Dopo Motherless Brooklyn in apertura di #RomaFF14, con Honey Boy (trailer) ci troviamo di fronte ad un altro film dalla forte componente individualistica. Shia LaBeouf su Shia LaBeouf, che scrive ed interpreta una pellicola che ripercorre la propria infanzia ed è elaborata in prima istanza durante il processo di riabilitazione che l’attore ha dovuto affrontare a causa delle sue dipendenze e del suo stile di vita.
La regia è affidata ad Alma Har’el, in passato già a lavoro con un LaBeouf che qui si cala nei conflittuali panni di suo padre. Il ruolo dell’attore losangelino, nel film sotto lo pseudonimo di Otis Lort, è assegnato dallo stesso LaBeouf a Lucas Hedges e Noah Jupe, rispettivamente nel periodo della rehab e in quello della prima adolescenza e dei primi ruoli televisivi. La scelta di scindere la narrazione nelle due differenti e alternate correnti temporali si rivela una soluzione sicuramente non originale ma soprattuto non felice, nonostante sia chiaro come provenga dall’intenzione di trasporre la reale condizione all’interno della quale il processo di reinserimento dell’attore (e lo stesso film) prende il via e si sviluppa.
Honey Boy tiene i piedi in due staffe per la sua intera durata, mal conciliando la natura condivisa dei due Otis che troviamo sullo schermo. L’alternare delle due linee non afferra in pieno quella necessità di elaborazione attraverso la quale l’Otis Sr. scava nel difficile rapporto dell’Otis Jr. con il padre, veterano intossicato da droghe e alcol. È forte la sensazione di trovarsi di fronte a due segmenti distinti, anche se entrambi i due nuclei, nel complesso troppo disomogenei, considerati nella loro unicità presentano ottimi spunti favoriti in particolar modo dalle performance di Hedges e Jupe (due grandi promesse della Hollywood attuale). Paradossalmente, i migliori momenti sono quelli in cui Shia LaBeouf è assente dallo schermo, inevitabile specchio di un eccessivamente macchiettistico se stesso riscopertosi padre, e per questa ragione fuori dal coro recitativo.
Sia chiaro, Honey Boy è di sicuro in grado di emozionare e trasmettere la portata del vissuto personale che mette in scena, ma rimbalza disordinato mancando di cucire insieme la drammaticità di quelle cellule emotive che viaggiano e colpiscono come unità singole all’interno dell’organismo.