Arte, potere, libertà di espressione, negazione, assenza. Ma anche voglia, dopo aver perso tutto, di continuare a combattere con la forza delle idee, che può però comportare grandi rinunce. Tutto questo è Powidoki – Immagini Residue di Andrzej Wajda (1926-2016), film in concorso alla Festa del Cinema di Roma nella Selezione Ufficiale.
Il regista ha scelto di raccontare quattro anni molto difficili e controversi della vita della Polonia, dal 1949 al 1952, un periodo molto problematico durante il quale la sovietizzazione del paese fu più radicale e il realismo socialista divenne l’unica possibilità espressiva a cui potevano attingere gli artisti. E la presenza incombente ed oppressiva del regime socialista Wajda la evidenzia sin dai primi minuti, quando il protagonista Wladyslaw Strzemiński, artista, intento a cominciare a dipingere una tela bianca nella sua casa, vede “un velo di luce” rossa tingere tutto: un manifesto socialista è stato srotolato davanti alla sua finestra. Come non vedere in queste immagini una metafora dell’intrusione soffocante del socialismo nella vita di tutti i giorni e nell’arte?
Il colore rosso ritorna diverse volte all’interno del film ed ha anche diversi significati. Non è un caso, ad esempio, che il cappotto della bambina, figlia di Strzemiński, sia rosso (e la mente subito va a Schindler’s List di Spielberg), ma il rosso è anche il colore della cravatta datale dalla scuola per la parata; il colore della politica, quindi. E politica significa coinvolgimento, passione. E passione vuol dire sentimento. L’amore è un aspetto presente sotto varie forme nel film. Amore per l’arte, amore per le proprie idee, amore paterno, amore passionale. L’amore e l’Arte dialogano a due voci pronte a confondersi in più d’un momento: lo si può percepire prima tra Strzemiński e sua moglie (scultrice), rievocati a parole in un turbinio di passione e riforma rivoluzionaria post – modernista, poi tra il pittore e la sua giovane allieva; quest’ultimo, pur restando un sentimento a livello platonico, si concretizza nell’oggetto dello sguardo dei due innamorati. Entrambi fissano l’Arte: lui la considera la sua amante, mentre lei si innamora del suo maestro – pittore innescando le immortali dinamiche freudiane del transfert.
Un altro aspetto largamente affrontato e denunciato dal film è il potere. Potere come totalitarismo che nega la libertà di espressione e usa l’arte come mezzo per esprimere e divulgare le proprie idee politiche. Non è un caso quindi che il concetto di negazione sia accompagnato dal concetto di morte. O meglio, la morte nel film viene rappresentata come negazione, assenza del corpo, riportando quindi ad una interpretazione di base e letterale del concetto stesso. I morti non si vedono all’interno del film; ciò che denuncia la loro presenza è la loro assenza. Negazione di libera espressione quindi, ma anche mancanza di libertà stessa, con la conseguente assenza di idee e arte e, quindi, di vita. L’unica cosa che potrebbe aiutare l’uomo a riprendersi la propria libertà è l’Arte, ormai però assoggettata al potere. Chi non rispetta tale obbligo viene cancellato: interrotte le lezioni di storia dell’arte, espulso dall’Accademia e dall’Unione degli Artisti, a Strzemiński viene via via negata una vita, viene gradualmente cancellato in una crudele damnatio memoriae simile ad un incubo kafkiano. La sua vita gli viene sottratta, così come la sua minestra di patate (che si può, plausibilmente, interpretare come un rimando a I mangiatori di patate di Van Gogh, incarnazione delle difficoltà affrontate della gente comune ed oggetto di una lezione accademica di Strzemiński). L’Essere è e non può non Essere; il Non Essere non è e non può Essere: assiomi filosofici che costituiscono l’ossatura di Powidoki – Immagini Residue: tutte assenze che testimoniano, solo suggerendola, l’esistenza di qualcosa che è stato e che gridano la presenza di un forte potere oppressivo.
Clara Giannini e Ludovica Ottaviani