Ritratto di un amore (trailer) è il nuovo film scritto e diretto da Martin Provost. Il film è del 2023 e la sua prima è stata proiettata nel maggio dello stesso anno in occasione del festival di Cannes.
Ritratto di un amore racconta la complessa e travagliata storia d’amore tra Pierre Bonnard (Vincent Macaigne), un pittore impressionista francese (1867-1947), e la sua musa, nonché compagna di vita, Marthe de Méligny (Cécile De France). Pierre conoscerà Marthe come una fioraia durante la sua ricerca di una modella occasionale per i suoi quadri; la ragazza gli si presenta per gioco con un cognome falso cercando di fare una buona impressione. A seguito di un forte colpo di fulmine i due finiranno con il costruire un rapporto intenso, andando a vivere insieme in una campagna molto isolata da Parigi. Un luogo dall’aspetto decisamente onirico, circondato dall’acqua che avvolge i due amanti in un vero e proprio nido d’amore bucolico. A seguito del trasferimento, Marthe porterà il peso di essere la donna che lo ha isolato Pierre dal mondo mondano parigino e per lui colei che sarà il soggetto di un terzo delle sue opere. Il film proseguirà mostrandoci la loro relazione sino alla vecchiaia ed al giorno della morte di lei. Un amore travagliato ricco di passione, arte e sentimento ma anche tradimenti, malattia e turbamento.
La storia biografica del pittore resta un subplot, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe da un biopic, per questo motivo sarebbe errato circoscriverlo esclusivamente nella cornice del genere. La carriera da pittore di Pierre avrà un ruolo, non marginale, ma trasversale. Il regista, infatti, utilizza la sua carriera come gancio cronologico per contestualizzare le fasi della relazione tra i due amanti. Inoltre, il punto di vista dello spettatore non si allinea sempre con quello di Pierre ma si alterna con quello di Marthe. Della dimensione biografica, legata al contesto storico-artistico del pittore, vediamo il suo gruppo di amici-colleghi con i quali forma il gruppo dei Nabis, la sua prima mostra e sentiamo parlare del suo rapporto con personalità famose come Monet e Renoir ed altri espedienti. Attivo a cavallo dei due secoli fino alla sua morte (1947) Bonnard si allontana dal suo panorama contemporaneo caratterizzato dalle avanguardie storiche seguendo invece la scia post-impressionista. «Se il tuo intento è competere con i Cubisti, puoi rinunciare», «Quelli sono i miei amici i Nabis, ed insieme abbiamo deciso di rivoluzionare la pittura moderna», con dialoghi di questo tipo, nelle varie fasi della sua carriera, sempre ben circoscritti dal film con didascalie temporali, la sceneggiatura racconta lo stile e le ambizioni dii Pierre come pittore.
Ma se alla sceneggiatura è incentrata sul racconto della love-story, non si può dire lo stesso della regia, che al contrario decide di ritagliare molto spazio ad immagini e sequenze che vedono il pittore intento nei suoi lavori. Momenti di pura concentrazione ed isolamento, che permettono allo spettatore di avere il tempo per immergersi nell’osservazione delle sue opere originali. Provost ci presenta Bonnard come una mano che traccia precisi segni sulla tela, basati su una palette specifica di colori (in particolare blu e giallo) una sorta di firma del pittore che crea determinati giochi di luce caratteristici dei suoi quadri. Questi momenti sono resi quasi sempre allo stesso modo: in un campo medio che vede il pittore di spalle di fronte al suo quadro, avvicinandosi solo per mostrare il dettaglio delle mani ed il pennello che toccano la tela.
Il lavoro del pittore si rispecchia in quello del regista che gioca molto con il suo mezzo in senso metacinematografico, riproponendo il cliché delle “figure di incorniciamento” come proiezione dell’inquadratura in similitudine con il quadro. Il film è tempestato di cornici, non solo di quadri, ma di finestre, porte, fotografie e specchi che spesso vengono attraversate, mentre altre volte rimangono fisse rendendo l’inquadratura un quadro vivente. Il richiamo è percepibile anche allo spettatore meno attento. Ciò accade in particolare nelle scene in cui ad essere incorniciati da finestre sono i paesaggi onirici della campagna, ma anche quando vediamo le figure umane che vengono completamente inglobate in campi lunghi all’interno di paesaggi dal richiamo apertamente impressionista. Particolarmente suggestiva in termini puramente estetico-visivi è la scena in cui il pittore si trova a dipingere di fronte un enorme vetrata che si affaccia su Roma e lo avvolge completamente. In alcune sequenze il regista si avvale di veri e propri giochi di penetrazione dell’immagine, ricorrendo più volte a doppie cornici e creando l’illusione dello sfondamento dell’inquadratura.
Il tema dello sguardo si espande ulteriormente coinvolgendo quello femminile. La filmografia di Provost è apertamente femminista e Ritratto di un amore si aggiunge alla lista. Marthe condivide il ruolo di protagonista con Pierre, probabilmente oscurandolo, tanto che il punto di vista dello spettatore si allinea con il suo per la maggior parte del tempo, più che per quantità, per intensità delle scene a lei singolarmente dedicate. I racconti di queste donne vengono ambientati, nei film del regista, sempre nella prima metà del Novecento, periodo che offre una campo di gioco decisamente austero in cui sottolineare e mostre l’influenza ed il controllo degli uomini sulla vita delle donne, delegate sempre in ruoli marginali e poco influenti. Emblematico è il dialogo in cui Marthe chiederà a Pierre perché i nudi nei suoi quadri sono quasi sempre femminili, e per la maggior parte delle volte anche sfocati e poco riconoscibili, ricevendo l’agghiacciante risposta «Perché i pittori sono uomini e non donne». Un film, dunque, che non romanticizza la biografia dell’artista, mostrandoci le conseguenze di una società in cui le donne sono socialmente definite senza scampo da uno sguardo maschile. In questo contesto si inserisce Marthe, nonostante proverà anch’essa ad entrare nel campo della pittura, rimarrà nota a tutti gli altri solo la “musa” di Pierre, colei che ha ispirato un terzo dei suoi quadri.
La forte inclinazione di genere è costante in tutti i film del regista impegnato nel parteggiare per le figure femminili, compatendole e denunciando l’incostanza e l’immaturità dei suoi personaggi maschili. Queste donne sono, per l’appunto, figure spesso attive nel campo dell’arte, mondo che riesce a manifestare un forte connotazione di marginalizzazione femminile. Un esempio calzante è Seraphine (2008), tratto dalla storia di una pittrice parigina ambientato nei primi Dieci anni del Novecento, in cui una domestica pratica amatorialmente la passione per la pittura nella quale ha vero talento. La sua forte bravura la porterà ad avere riconoscimenti solo dopo per poi essere scoperta da un uomo, un critico d’arte. Non solo nel campo della pittura: il film Violette, ambientato nella Francia sotto l’occupazione nazista, ha come protagonista Violette Leduc che traffica nel mercato nero e cerca di portare avanti un ménage difficile con un coniuge gay. La donna verrà spinta da una scrittrice a trasformare le proprie angosce esistenziali in parole scritte dando origine al percorso che la porterà ad essere una delle scrittrici più coraggiose ed apprezzate della Francia.
Provost tra inquadrature basate su abili giochi di incastri, ambienti suggestivi ed arte ci offre una diversa chiave di lettura di un film biografico adottando il punto di vista di una donna tagliata fuori, al margine della sua stessa vita.
Dal 16 maggio al cinema.