The Bear, la recensione della terza stagione su Disney+

The Bear, recensione della terza stagione su Disney+

Fermarsi, respirare, trovare la pace. Tutti ne hanno bisogno. Se è vero che la vita può interpretarsi come una ricerca costante dell’equilibrio, allora quella di Carmy Berzatto (Jeremy Allen White) non dev’essere affatto semplice. La terza stagione di The Bear (trailer), una delle serie tv più acclamate degli ultimi anni, lascia sprofondare i suoi personaggi in un’indagine esistenziale di notevole intensità. Come nelle precedenti stagioni, la cucina funge da catalizzatore di anime, collettivizzando le ansie e le ossessioni della brigata di Carmen. Dietro le quinte del neo-ristorante i membri dello staff ritrovano loro stessi, aggrappandosi ad una sola passione comune per evadere dalle difficoltà esterne. Si può dire dunque che le premesse dei nuovi episodi siano comuni alle vecchie stagioni; tuttavia, ben presto lo staff si accorgerà che l’impegno e la passione non sono sufficienti per raggiungere la prima, tanto agognata, stella Michelin: il segreto sta nella comunicazione e, da questo punto di vista, il locale ha molto su cui lavorare.

Il problema sta proprio nel creare una coesistenza funzionale tra molte individualità così complesse. The Bear dispone di professionalità eccellenti, ma solo poche tra loro sono in grado di cogliere lo spirito di squadra di cui il locale ha bisogno, mentre gli altri sono distratti dai loro drammi personali. Carmy ormai appare del tutto alienato: non è più in grado di intrattenere conversazioni prolungate con chi gli sta vicino; ha perso la sua credibilità come chef e come leader; non riesce, dopo il finale della seconda stagione, a concedere le dovute scuse alla ragazza che ama. Allo stesso modo Richie (Ebon Moss-Bachrach), Natalie (Abby Elliott) e Marcus (Lionel Boyce) fanno fronte ai loro rispettivi problemi familiari, sempre più delusi dalle prestazioni negative del ristorante, unico loro porto sicuro. Nel frattempo Sydney (Ayo Edebiri), enfant prodige braccio destro dello chef, è insicura sul suo futuro e sulle sorti di The Bear. Una menzione d’onore la meritano le numerose guest star, ormai un marchio di fabbrica per la serie: oltre ad un paio di nuove sorprese, tornano dal passato anche dei volti familiari, che è bello rivedere come può esserlo ritrovare vecchi amici.

The Bear, recensione della terza stagione su Disney+

Come sempre la serie di Christopher Storer mette in scena un intreccio corale che sfiora la perfezione. Come già detto, i personaggi si dimostrano individui complessi, elaborati, del tutto aderenti alla realtà vera. A differenza di moltissime altre opere di finzione, The Bear non traccia confini ben definiti attorno ai suoi protagonisti, ma fa in modo che lo spettatore possa cogliere tutte le sfumature di quelle che arrivano a sembrare persone vere e proprie, compagni che si conoscono da molto tempo. Nessuno dei personaggi viene mai abbandonato, nonostante la serie mantenga costantemente il suo tipico ritmo sfrenato (fatta eccezione solo per un’ottava puntata abbastanza ridondante). Proprio per questo, la regia e il montaggio restano la punta di diamante di quest’opera; la dinamica che ne deriva è quella di sempre: frenetica e carica di ansia. Alcuni momenti di distensione sono posizionati perfettamente, con lo scopo di concedere pochi attimi di respiro e far rinascere la voglia di tornare tra i fornelli.

A dare un tocco di freschezza c’è una sceneggiatura che si diverte a giocare con il tempo del racconto. Se infatti la seconda stagione aveva raccontato le esperienze dei personaggi come contemporanee e parallele, i nuovi episodi contengono qua e là dei brevi flashback e anticipazioni (si potrebbe dire a mo’ di Breaking Bad), che aggiungono qualche dubbio in più alla tenzione già presente. Sotto questo punto di vista, la prima puntata è superlativa: un vero e proprio flusso di coscienza che fonde i ricordi delle vicende passate con immagini inedite, creando uno spazio senza tempo in cui lo spettatore può prendere coscienza del punto in cui la storia era rimasta e farsi qualche aspettativa sugli eventi a venire. Insomma, una puntata dal sapore sperimentale, un collage di immagini che troverà seguito anche negli episodi seguenti (in particolare all’inizio del penultimo, con un delizioso montaggio “cinefilo”).

In fin dei conti, The Bear non delude mai ed è molto difficile che prima o poi possa riuscirci. A differenza dello staff che mette in scena (che non a caso può ricordare una troupe cinematografica), dietro le quinte della serie tutto funziona alla perfezione: complessi personaggi intrattengono tra loro rapporti equilibrati e delicatissimi; il cast “stellato” regala emozioni rare e preziose; momenti di comicità assurda fanno divertire molto e non rovinano in nessun modo l’atmosfera malinconica di una stagione dall’aroma decadente. Insomma, resta solo da chiedersi se Carmy e i suoi compagni riusciranno a conquistare la prima stella Michelin; indipendentemente dalla risposta, per noi The Bear se la meriterebbe di certo.

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