#Venezia81: Leopardi il poeta dell’infinito, la recensione della serie di Sergio Rubini

Leopardi il poeta dell'infinito, la recensione

«A volte la fantasia ci dipinge immagini spaventose, ma basta aprire gli occhi ed esse scompaiono». L’animo di Giacomo Leopardi, per come viene rappresentato nella serie evento diretta da Sergio Rubini, è in conflitto costante tra la convinzione di poter superare ogni limite con l’immaginazione e, proprio per questo, la rassegnazione a non poter vedere la luce della felicità. Colui che vede la realtà per ciò che è può solo aspirare alla liberazione assoluta del pensiero, senza poter sperare nelle gioie o nell’amore. Essi non sono altro che «una falsa promessa che tra l’altro nessuno ci ha mai fatto». Leopardi il poeta dell’infinito, articolandosi in due episodi, prova in ogni modo a fuggire dalla visione accademica del Sommo Poeta, dai libri di letteratura che si trovano a scuola; vuole offrire allo spettatore una propria interpretazione del pensiero di Leopardi per trarne qualcosa di nuovo, di filosoficamente personale.

La storia del poeta (Leonardo Maltese) viene raccontata post mortem dal suo grande amico Antonio Ranieri (Cristiano Caccamo). Egli ne ricorda le vicende poco dopo la sua scomparsa, a Napoli: nel primo episodio, davanti alla bara del fidato compagno, ne parla con un prete; nel secondo, invece, conclude il racconto con Fanny Targioni Tozzetti (Giusy Buscemi), storica fiamma di Giacomo e ora amante dello stesso Ranieri. In questo modo la storia si articola in un elegantissimo alternarsi di flashback, partendo dall’infanzia di Leopardi fino ad arrivare ai giorni in cui Ranieri la sta ricordando.

La biografia di Giacomo Leopardi è ben nota a tutti, per cui è superfluo indugiarvi più di tanto. A rappresentare la novità, quanto meno per un’opera cinematografica, è il larghissimo spazio dedicato alla ricostruzione del letterato non solo come persona, ma come filosofo e pensatore. Le poesie hanno solo un ruolo marginale, ma alcune tra le più note vengono lette in voice over durante il corso della vicenda. Non a caso il primo episodio, dopo aver ripercorso la gioventù di Leopardi, lo studio «matto e disperatissimo», i conflitti con il padre (Alessio Boni) e il principio del suo perenne stato di malattia, dà grande importanza alle Operette Morali, la prima vera e propria opera filosofica del recanatese.

È lo stesso Giacomo ad ammettere che la visione dell’uomo che traspare da questi racconti derivi dal suo malessere fisico e dalla sua insoddisfazione giovanile: l’umanità è destinata a vivere nel limite, nel desiderio, nell’aspirazione al Tutto senza mai poterlo raggiungere, proprio come lui per tanti anni fu chiuso in biblioteca a studiare e a sognare la vita nelle grandi città. Un punto di riferimento fondamentale per Leopardi, nonché grande amico e mentore, è dunque Pietro Giordani (Fausto Russo Alesi): anche lui uomo di lettere, fu espulso dalla vita ecclesiastica per il suo atteggiamento anticonformista e il suo pensiero oltraggioso. Di questo passo Giacomo, forte del suo immenso bagaglio culturale, delle giuste conoscenze, e di una sensibilità tale da poter vedere «tutto il bene e tutto il male del mondo», inizia a pensare al futuro, desidera di scappare dalla sua cameretta.

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La seconda parte dell’opera, invece, si concentra maggiormente sul rapporto tra Giacomo, Ranieri e la Tozzetti, creando tra di loro un legame ed un equilibrio delicatissimi, ma purtroppo destinati a rompersi in un finale davvero emozionante. Intanto il declino fisico di Leopardi si accompagna al suo pensiero sempre più decadente: la vera essenza della vita sta nell’assecondare la natura, anche quella umana, la quale però non è nient’altro che una fitta rete di conflitti e cattiveria, di cui lo stesso poeta è terrorizzato. È toccante a tal proposito la sequenza in cui Ranieri trasporta l’amico, spaventatissimo, tra le onde in riva al mare, proponendogli di volare insieme a Parigi, prima o poi.

Sul piano visivo, l’opera soffre solo inizialmente del problema che accomuna tutti i film in costume di produzione nostrana: una certa banalità estetica, a partire dall’illuminazione per arrivare alle scenografie e agli ambienti, può risultare assai noiosa. Tuttavia, dopo non molto tempo la regia di Rubini, assieme al resto del comparto tecnico-artistico, raggiunge vette altissime ed entra (letteralmente) nella mente di Leopardi, mettendone in scena i pensieri e le ossessioni più autentici. Sono spettacolari, da questo punto di vista, le sequenze che accompagnano la lettura de L’infinito e La ginestra, mentre Aspasia si risolve in maniera decisamente struggente nell’ultima parte del film. Parlando delle opere, è un peccato che siano assenti riferimenti allo Zibaldone, il diario personale del poeta e dunque forse il suo lavoro più prezioso.

Chi era dunque, Giacomo Leopardi? Un uomo di cultura e appassionato della classicità? Una futura musa ispiratrice del Risorgimento? Un poeta malato e pessimista? Probabilmente Leopardi fu tutte queste cose, ma nella serie di Rubini è soprattutto un essere umano nella sua forma più vera, un grande sognatore. Non importa se la Natura sia stata maligna con lui soltanto o con tutti gli uomini, in ogni caso Giacomo ha agito di conseguenza: dove il corpo non è potuto arrivare, lì lui ha iniziato a volare con il pensiero. Ranieri osserva che «Leopardi cercava una luce» e tutt’oggi non è dato sapere se mai l’abbia trovata; quello che è certo, è che questa luce si trovasse in luogo in cui nessun dio può arrivare, dove ogni limite cessa di esistere. A Giacomo Leopardi, per un motivo o per un altro, non è stata concessa la gioia di essere un uomo qualunque, pertanto ha deciso di raggiungere una forma in cui l’umanità tutta viene rappresentata e legittimata: il Sommo Poeta è divenuto poesia, arte pura. È così che Leopardi, solo ammettendo di essere umano, è sfuggito alla Natura, a Dio, al tempo, alla morte. Così, il suo cuore è arrivato oltre la siepe.

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