Dopo il Toronto International Film Festival, Ana Endara porta in Italia il suo primo lungometraggio di finzione. Anche se Querido trópico (trailer), presentato in Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024, non si inventa una storia. La documenta.
Tutto si concentra sul rapporto fra le due protagoniste, la badante immigrata Ana Maria (Jenny Navarrete) e l’anziana imprenditrice Mercedes (Paulina García). Nasce un’amicizia fra due persone molto diverse, che prima non si piacciono e poi trovano molte cose in comune. Entrambe hanno i loro demoni interiori, che affrontano meglio grazie alla nuova compagna di vita: Ana Maria è incinta, ma con dei segreti; Mercedes soffre sempre di più di demenza senile. Querido trópico ha le basi di un buddy movie tutto al femminile, che tematizza le difficoltà, non solo fisiche, nell’affrontare la malattia (un The Father al femminile).
Per entrare al meglio in questo rapporto in costruzione, Endara si rifà a tutta la tradizione del cinema indie e del (suo) cinema documentaristico. Il ritmo è rallentato, con tante scene di passaggio, silenziose, inattive. Ana Maria e Mercedes passano molto tempo in un giardino curato, raccontato dalla regista grazie a inquadrature che valorizzano i colori e gli spazi di questo locus amoenus. Una regia intima, fatta di dettagli, primi e primissimi piani, particolari. E’ qui che nasce l’amicizia di Querido trópico. Endara spia le due protagoniste sempre da una certa distanza, come se fosse nascosta fra le piante del giardino. Non entra mai in maniera brusca nelle loro vite, ma non abbandona neanche i loro volti.
Nel film, comunque, non ci sono solo le passeggiate bucoliche. Accadono delle cose, ma non si può dire che ci sia una struttura solida. Sarebbe sbagliato dire che la storia di Querido trópico zoppica, perché non cammina proprio. Endara si prende i suoi tempi, dà respiro alle scene, non inserisce nessuna musica: decide di negare del tutto un processo narrativo lineare. E questo crea il problema più grande: non c’è conflitto. O meglio, non c’è percezione del conflitto. I momenti (sulla carta) nodali della storia non si caricano mai di drammaticità, passano come se non avessero cause o conseguenze.
Se non c’è conflitto, non c’è empatia. E se non c’è empatia, lo spettatore non si emoziona. Lo spettatore non è coinvolto nella nascita dell’amicizia fra le protagoniste. La distanza dello sguardo della macchina da presa tiene lontano lo spettatore, rendendolo estraneo alla storia che il film sta raccontando. Un effetto particolare, che contrasta anche con il tema di Querido trópico: l’importanza dell’accettazione delle debolezze degli altri. Ana Maria e Mercedes diventano amiche perché si permettono a vicenda di conoscere i loro lati più personali. Empatizzano con le fragilità dell’altra. Il film non ci fa entrare in questo rapporto, non ci fa empatizzare con loro. Perciò, nei momenti topici, assistiamo insensibili, come se stessimo guardando delle persone che non conosciamo.
Se da un lato la regia di Endara ci distanzia dalle protagoniste, dall’altro permette alla loro amicizia di svilupparsi in modo naturale. Non ci sono le forzature di una storia scritta a tavolino, che forse ci avrebbe commosso di più. Il rapporto fra Ana Maria e Mercedes cresce come se fosse una delle piante del meraviglioso giardino dell’anziana. E lo spettatore lo osserva come si osserva la natura in un documentario: da lontano, distanti. Forse, Querido trópico, dopotutto, è più un documentario che un racconto su un’amicizia di cui non facciamo parte.