Piuma è una commedia semplice e leggerissima. Il terzo film di Roan Johnson, dopo I primi della lista (2011) e Fino a qui tutto bene (2014), è stato presentato lo scorso settembre alla 73ma Mostra del Cinema di Venezia. Prodotto da Lucky Red, Sky Cinema e Palomar, è in uscita il 20 Ottobre 2016. Al Lido è stato accolto contrastatamene, tra gli applausi di chi se lo è fatto scivolare addosso ridendo senza pensarci troppo su, e i fischi, accompagnati da qualche urlo, di chi lo ha trovato troppo poco autoriale per essere inserito nella ristretta cerchia dei film in concorso. Ma come un film viene accolto dal pubblico, poi, è un’altra storia.
I giovani protagonisti Ferro (Luigi Fedele) e Cate (Blu Yoshmini) diciottenni maturandi, sembrano essere già più maturi più dei loro genitori e familiari. Gli adulti appaiono, infatti, molto spaventati e poco responsabili alla notizia dell’arrivo improvviso di un bambino. Tra problemi economici, invasioni di spazi e tentativi di vendita della casa in città per andare a vivere in campagna, i “grandi”, che dovrebbero essere più abituati a vivere e a lottare riconoscendo le necessità, si mostrano invece impreparati ad affrontare il momento di vita febbrile arrivato così in anticipo.
Cate è incinta. I programmi dei due ragazzi, la maturità e il viaggio con gli amici tra Spagna e Marocco, saltano. La loro estate sarà diversa. Eppure, l’aria leggera e ingenua dell’adolescenza non li abbandona mai, gli ostacoli nel film sembrano esistere solo per essere superati. Ferro e Cate sono i più disillusi tra tutti e sembra sappiano cosa fare, a cominciare dal fatto che terranno il bambino. Come l’ipotesi dell’aborto, appunto, scartata in poco tempo perché Cate potrebbe non avere più figli, anche il trambusto, i contrattempi della situazione vengono gestiti senza troppe ansie dai due ragazzi. Si librano su una Roma estiva, leggeri come piume. Questo è il senso che vuole dare il film, un senso di freschezza. Rendere l’attesa di un figlio una misteriosa e divertente avventura, per niente disperata e, soprattutto, una scelta possibile. All’indomani di una triste campagna pro-fertilità, il cinema italiano porta nelle sale il racconto di una gravidanza inaspettata che non pretende di essere esemplare, non impegna a dirimere conflitti generazionali, lasciando ai “grandi” effetti di contrasto ora comici ora drammatici, ma sempre divertenti. Assente indesiderata nella storia la tristezza, non ci sono lacrime, un po’ di timore si, ma nessun dramma. Tutto in virtù di un divertimento fluido, acquoso, come alcune scene surreali di nuotate a mezz’aria, che forse non creano vortici di grandezza cinematografica, anzi, poco convincono. Le battute divertenti non mancano. A innescare i momenti più spassosi sono, per lo più, i personaggi maschili: Ferro, in primis, con un sottile humour da furbetto, sempre pronto alla battuta, e il calcato accento romano, crea con il padre (Sergio Pierattini) scene esilaranti – anche se alcune scenette che funzionano alla prima, poi ripetute, mancano un po’ della verve iniziale. Il nonno (Bruno Squeglia) scappa dalla cugina fisioterapista un po’ stramba e molesta e il padre di Cate (Francesco Colella), cacciato di casa dall’esausta compagna, tenta il suicidio bevendo un sorso di ammorbidente a casa dei genitori di Ferro.
Al di là dei motivi divertenti e delle risate rassicuranti, il film ha l’aura romantica dell’amor giovane tra i due fidanzati. Le attenzioni che si rivolgono reciprocamente (come la storia delle paperelle gialle di gomma che solcano i mari intorno al mondo come metafora della vita – idea di Ferro per la tesina di maturità di Cate) stanno lì a voler dimostrare che forse non è necessario aspettare decenni per diventare genitori. Nove mesi possono bastare. Piuma non scivola nella volgarità e si distacca dalle commediole adolescenziali che tanto successo hanno avuto nel nostro Paese. Johnson non si è inventato niente di nuovo, basti pensare a quanti pregnant teen movie statunitensi hanno sbancato in passato come Per gioco e… per amore del 1988, o il più famoso Juno del 2007, ma all’Italia che ride solo al miracolo checcozaloniano, ha reso sicuramente un buon servizio.