Direttamente dalla 77esima edizione della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia, sbarca su Netflix Pieces of a Woman (trailer), lavoro ultimo e primo internazionale del regista ungherese Kornél Mandruczo, che vede la messa in scena di una pièce scritta e presentata da Kata Wéber, autrice e partner del regista. Il film, che tra i produttori esecutivi vanta Martin Scorsese e Sam Levinson, narra una vicenda ricalcata sulla base di un’esperienza più o meno simile vissuta dalla Wéber e Mandruczo stessi, rimanendo ad ogni modo i dettagli reali non meglio definiti.
Il teatro della vicenda si trasforma in Boston. Per Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf) è questione di attimi prima che diventino neogenitori. Nonostante la mamma di Martha (Ellen Burstyn) esorti la donna a dare alla luce la sua bimba in ospedale, Martha è decisa e irremovibile per il parto in casa, con la sola presenza del suo compagno e la signora Eva Woodword, un’ostetrica professionista (Molly Parker). Ma la piega che ben presto prenderà l’intera situazione volge nel più drammatico dei modi, facendo della vicenda non la storia di una vita che nasce, bensì l’accettazione di una che ne finisce.
Ventidue minuti di pianosequenza fanno da incipit della pellicola, prima ancora che compaia il titolo del film in sovrimpressione, ventidue minuti dedicati al travaglio della protagonista culmimanti nel parto vero e proprio in cui si consuma la tragedia scatenante su cui poggerà le basi l’intero sviluppo narrativo e il focus centrale che vuole essere restituito: l’interiorizzazione di un lutto. Già dai primi momenti del minutaggio la componente emotiva – che ne sarà pilastro fondamentale fino all’epilogo della narrazione – entra a piede saldo nella cornice entro cui la storia va a posarsi, restituendo quelle che sono immagini imbevute di un pathos irripetibile. Se, infatti, da un lato la scelta registica del pianosequenza affonda le sue radici in un richiamo alla matrice originariamente teatrale del progetto, dall’altro contribuisce alla creazione di uno scenario così travolgentemente naturalistico da far letteralmente dimenticare allo spettatore di essere spettatore di una realizzazione fittizia: ne risulta un’esperienza tanto intensa a livello emotivo e sensoriale da assumere piuttosto il carattere di un prodotto documentaristico ed estremamente reale in tutte le sue componenti.
Ad accreditare ulteriore realismo disarmante a un dramma umano tra sensi di colpa e disperati tentativi di ripresa consapevole sulle proprie vite, si presta in maniera geniale la penna di Kata Wéber che delinea uno spessore psicologico consistente in ognuno dei personaggi, non dimenticando nemmeno quelli secondari come Elizabeh Weiss, mamma di Martha (che pur Ellen Burstyn interpreta con una dignità spettacolare), del cui background personale veniamo a conoscenza nella seconda scena predominante dell’intera pellicola dopo il pianosequenza del parto, nonché il pranzo del Ringraziamento. Ecco che ogni minimo dettaglio, apparentemente insignificante ai fini della narrazione, viene tutt’altro che lasciato al caso, andando a tessere una texture di dolore e malinconia splendidamente valorizzata dalla sensibile e al tempo stesso incisiva regia di Mandruczo. E degno di nota è sicuramente in questo senso l’inserimento musicale extradiegetico delle musiche di Howard Shore che conferiscono un ulteriore stralcio drammatico perfettamente in linea con i toni generali.
In modo per nulla azzardato, si potrebbe senz’altro sostenere che la vera protagonista della storia non è Martha, nonostante l’impeccabile interpretazione della Kirby – che infatti le ha fruttato la Coppa Volpi 2020 alla miglior attrice – né Yvette, la sua bambina rimasta al mondo per pochi minuti, e nemmeno l’ostetrica che rischierà tutta la sua carriera e parte della sua vita, né tantomeno gli effetti che un destino avverso come quello vissuto dalla coppia li ha portati nemmeno troppo lentamente alla (quasi) distruzione reciproca. La vera protagonista è la capacità/non capacità interna dell’essere umano di reazione tramite diverse modalità dinanzi a una morte che diventa collettiva e la conseguente scelta al confine tra la sopravvivenza alla tragedia o la passiva non accettazione dell’accaduto. Pieces of a Woman, prendendo per mano chi lo guarda, si propone quindi come un’indagine e una ricerca di risposta alle seguenti domande: fino a che punto è possibile sopravvivere all’imprevedibilità della vita? E a quale costo?