Secondo Walter Benjamin chi cerca di accostarsi al proprio passato sepolto deve comportarsi come un individuo che scava. Insomma deve diventare un archeologo. Attraversare strati su strati per accumulare informazioni e trarre solo alla fine il resoconto dei reperti scovati.
Kleber Mendonça Filho racconta così la sua Recife, la città dove è nato e cresciuto, scavando negli archivi, muovendosi tra le immagini e legando nel modo più naturale e trasparente possibile il cinema – sia come luogo che come concetto – alla vita. Pictures of Ghosts (trailer) parla degli spiriti che tornano a ritmo di musica per riflettere, come in un film di Jia Zhangke, sul mutamento del tessuto urbano, degli spiriti che non esistono solo come persone, ma anche come animali, edifici o strade, e di spiriti che si manifestano, a volte come suoni, altre come aneddoti o come mentori, per poi sparire e tornare ad essere memoria.
Sono tre i ritratti fantasma, molto diversi tra loro e apparentemente discordanti, ma indissolubilmente legati da un’intima aura di sacralità. Nel primo Mendonça Filho posa lo sguardo sul suo appartamento nel quartiere di Setúbal, il luogo che ha ospitato e che continua ad ospitare le sue sperimentazioni cinematografiche. Così la planimetria della casa muta mentre gli oggetti si spostano a seconda delle esigenze filmiche e di chi la abita. Poi parte la parabola sulle tre sale cinematografiche nel centro di Recife, sulla loro storia, dal loro sviluppo fino alla morte, e infine, nel terzo ritratto, il riadattamento di alcune sale storiche in chiese evangeliche.
Il mondo archivistico sembra un uomo con la macchina da presa dilatato nel tempo. Molteplici riprese da più punti di vista, cucite da uno sguardo consapevole con lo scopo di mappare un territorio urbano che, inevitabilmente, si è trasformato e adeguato alle esigenze presenti. E con esso anche le tecniche di ripresa si evolvono e si intrecciano. Pictures of Ghosts è così un’ironica e minuziosa indagine sui sensi: sul senso del rapporto vita-cinema, analizzato attraverso i reperti-memorie raccolte in anni e anni, e sul senso delle immagini, testimonianze dei cambiamenti che hanno portato alla metamorfosi della tanto amata Recife – qui sito archeologico – con la speranza di rivelare tutti gli aspetti della vita sociale e culturale plasmati dal tempo.
Più in generale è un road movie che si sviluppa nella verticalità della storia – la storia della città, di un Paese e del cinema – e che rende tutte queste immagini-archivio dei ricordi. Immortaliamo, condividiamo, consultiamo. Ogni cosa esiste in funzione della sua immagine filmata, ed è inevitabile un velo di nostalgia che, in ogni caso, non prende mai il sopravvento. Però c’è tanta umanità, anche se di umani non se ne vedono. Solo immagini. Fantasmi appunto. Che tornano alla vita, nello spazio, che sono diventati poesia e ricordo.
Insomma, alla fine la domanda che il regista pone (e si pone) è sempre la stessa. Il cinema è ormai solo un’entità semi-visibile? Per quanto avrà ancora una vita? Però quanto è bello il tempo che passa. Kleber Mendonça Filho si siede su un Uber guidato da un altro fantasma. Il guidatore parla ma non si vede. Quello che rimane è una sensazione di inaspettata tranquillità e ricomincia un’altra volta quella fantastica e simbolica musica ritmata.