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In uscita nelle sale il 10 febbraio, Piccolo corpo (trailer) è il dramma di Laura Samani che ha suscitato forte interesse tra la critica. Candidata prima alla passata edizione del Festival di Cannes e successivamente passata al Torino Film Festival, questa pellicola è la combinazione vincente della triplice co – produzione italiana, francese e slovena in quello che risulta essere un prodotto nostrano, dai toni forti e graffianti. È pertanto congeniata e partorita dalla stessa regista, con l’aiuto di una produzione principalmente femminile, per un pubblico sensibile e attento alle tematiche estremamente fragili della realtà quotidiana.
Mostra dunque, agli occhi dello spettatore, la straziante visione del corpo femminile nel suo stato più vulnerabile, quello materno, lacerato e sopraffatto da una battaglia che non sempre ha buon fine. Piccolo corpo è il viaggio di una madre giovanissima di nome Agata (Celeste Cescutti), disperata per la morte prematura della sua bambina senza nome, e quindi destinata a vagare nel limbo cristiano – dantesco. Difatti, come preannunciava il Sommo Poeta nel suo Inferno, il limbo è la casa delle anime perdute senza nome ne religione, i non battesimati, inconsapevoli di vivere nel peccato di un mondo pagano.
Agata dunque, spinta da un’ossessiva ricerca di speranza e fede per il mito di un santuario sacro, si affida totalmente al susseguirsi degli eventi e delle guide inaspettate del suo percorso, ritrovando però anche un po’ se stessa. Invero il coraggio e la sfrontatezza di questa madre vanno a contrastare in pieno il mito e il culto religioso, temi focali del film. Rappresentate in quelle che sembrano popolazioni rurali e semplici, le barriere terrene e ultraterrene di Piccolo corpo vengono combattute dal confronto dolce amaro della protagonista con Lince (Ondina Quadri), altra figura primaria nel viaggio di “rinascita” della donna.
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Nella pellicola, tramite il dialogo centrale dei due personaggi, trapela la visione filosofica della Samani sull’esistenza dell’essere umano. Non solo determinato da ciò che crede e dal nome che gli è stato attribuito dalla religione, l’uomo acquista il suo valore, vive sulla terra nel momento in cui qualcun altro nota i suoi passi, i suoi gesti, il suo respiro. Tutta questa realizzazione spirituale viene incorniciata dalla scelta stilistica di una regia naturale e di una sceneggiatura essenziale. Piccolo corpo è un film dai “piccoli silenzi e dalle grandi parole”, ermetiche e significative per il loro tono dialettale, che si vanno però a legare profondamente all’iconografia visiva delle lande sperdute della storia. Queste, al contempo, custodiscono e dissipano i pensieri dei protagonisti.
Altra caratteristica ben radicata in questa tragica storia è la metafora, esplicata non solo in ogni racconto e credenza del tempo, ma in particolar modo nella simbologia del mare o più semplicemente dell’acqua. È la culla embrionica dell’uomo, che, con il suo moto perpetuo, lo guida verso il suo prossimo scopo. Anche qui, come fonte ciclica di vita da cui ogni cosa nasce originariamente e a cui poi ogni creatura fa ritorno dopo la sua morte, l’acqua svolge la duplice funzione di inizio e fine del viaggio. Al momento catartico dell’itinerario Piccolo corpo associa un’altra figura determinante, ovvero quella del barcaiolo. Rifacendosi ancora a Dante e al suo traghettatore di anime Caronte, questo dà l’assoluzione ad Agata, ora traghettata verso la pace. Come nella filastrocca cantata dalla giovane madre alla sua bambina: “Dormi bella figlia, che dal fondo striscia l’onda lunga, porta con se il sonno. La luna infranta sull’acqua nera, sale piano la marea”.