Dopo l’esordio alla regia col film Lady Bird del 2017, Greta Gerwig (classe 1983) si consacra definitivamente tra le cineaste esordienti più promettenti del decennio appena trascorso grazie al suo secondo film da regista: Piccole Donne (trailer).
Se nel primo lungometraggio si era cimentata con la stesura di una sceneggiatura originale ed una regia che seguiva una convenzionale linearità narrativa, la Gerwig adotta un metodo diverso per affrontare l’adattamento di una delle storie più conosciute al mondo. Nel corso del tempo sono state molteplici le trasposizioni cinematografiche avvicendatesi grazie all’interesse di vari registi, ma con la Gerwig le cose cambiano. La regista statunitense, partendo dai romanzi della scrittrice americana Louisa May Alcott (1832-1888) Piccole donne e Piccole donne crescono, si impegna in un processo di frammentazione del racconto cronologico che contempla un’accurata azione per smontare la storia fin nelle sue fondamenta e ricomporla con un susseguirsi frenetico di salti temporali.
Il risultato è notevole e tutto sommato leggibile con una certa facilità. Se un possibile spettatore dovesse essere scevro anche solo da una conoscenza sommaria riguardo alle vicende della famiglia March e, in particolare, delle sorelle Meg, Jo, Beth ed Amy sarebbe comunque capace di seguire la storia sullo schermo in quanto i salti temporali, in avanti e indietro, sono ben riconoscibili per l’uso di una fotografia completamente differente a dispetto della linea narrativa che si svolge in quel momento del film.
L’adattamento probabilmente più conosciuto, precedente a quest’ultimo, risale al 1994 per la regia dell’australiana Gillian Armstrong e vedeva una giovane e talentuosa Winona Ryder interpretare Jo, la ragazza coi modi da maschiaccio. Per gli appassionati del romanzo e, ancor di più, per gli affezionati al personaggio incarnato dall’attrice icona degli anni ’90 il distacco da quella performance impeccabile e l’accettazione di una nuova Jo March coi riccioli biondi, gli occhi azzurri e le fattezze di Saoirse Ronan può essere traumatizzante. Niente paura però, la Ronan (Espiazione, Joe Wrigt, 2007; Amabili resti, Peter Jackson, 2009; Brookyn, John Crowley, 2015) torna a lavorare con Greta Gerwig dopo il ruolo da protagonista in Lady Bird nel quale è stata grandemente apprezzata e, nell’interpretare Jo non si dimostra da meno, anzi, conferisce al personaggio delle sfaccettature caratteriali che spaziano dalla tenerezza alla più cieca determinazione.
Altra nota di merito nella scelta degli attori riguarda Timothée Chalamet nel ruolo di Laurie. Anche in questo caso se si ha ben presente la recitazione di un giovanissimo Christian Bale nell’adattamento cinematografico del ’94, non ci si potrebbe aspettare un livello tanto alto da un attore differente, al contrario Chalamet (Chiamami col tuo nome, Luca Guadagnino, 2017; Beautiful Boy, Felix Van Groeningen, 2018; Il Re, David Michôd, 2019) riesce nell’impresa di dare forma ad un Laurie ancora più giocoso e tormentato. Inoltre la chimica tra Saoirse Ronan/Jo e Timothée Chalamet/Laurie è visibile e quasi tangibile per quanto profonda.
La storia delle sorelle March è costellata di speranze per un futuro scelto individualmente, ma anche dalla voglia di ribellione e autodeterminazione. Svolgendosi, però, in un periodo in cui la condizione della donna prevede la privazione della libertà personale e qualunque giovane non abbia intenzione di adeguarsi ai dettami della società ottocentesca, decidendo di intraprendere una strada diversa o ricoprire altri ruoli, oltre a quelli di moglie e madre, è vista come bizzarra il racconto assume connotazioni evidentemente moderne. La stessa madre delle quattro ragazze permette a ciascuna di loro di praticare un’arte per la quale mostrano di avere del talento: Jo è una scrittrice di racconti convinta di poter vivere per sempre con le sue amate sorelle in una situazione irreale di fanciullezza imperitura; Meg è una promettente attrice che però sogna una famiglia tutta sua ed è, quindi, la più incline a uniformarsi alle altre donne sue contemporanee; Beth è un’abile pianista molto introversa e visceralmente affezionata a tutti i membri della sua famiglia; Amy è un’aspirante pittrice che spera di raggiungere la fama internazionale pur essendo consapevole del fatto che la società di epoca vittoriana non riconosce alla donna alcuna proprietà, compresa quella del denaro guadagnato e dei figli generati.
Se ci si domanda quanta importanza e utilità può avere un ennesimo adattamento per il cinema dello stesso racconto immortale e quale significato può avere una storia rivoluzionaria, all’epoca della prima pubblicazione, che resta moderna anche ai giorni nostri si potrebbe rispondere che, in fondo, non ci si stanca mai di vedere giovani che cercano di farsi strada nel mondo seguendo le proprie passioni o che Jo March è l’eroina cui ogni donna potrebbe ispirarsi. La realtà non è mai troppo distante dalle possibili ipotesi sulla valenza di un nuovo Piccole Donne prodotto al termine del decennio. È una storia che fa riflettere, apprezzare le piccole cose e gli affetti sinceri. Le protagoniste non sono delle eroine impeccabili, sono tutte contraddittorie e umane, si lamentano per la sorte che è toccata loro e, in molte occasioni, non sono soddisfatte delle proprie esistenze.
In un momento storico nel quale la condizione della donna è nuovamente messa in discussione ed è soggetto dell’opinione o, peggio, delle decisioni di individui che non dovrebbero avere voce in capitolo sulle scelte personali delle donne stesse, Greta Gerwig offre una rilettura innovativa ed estremamente coinvolgente di un’opera centenaria che parla di donne fuori dall’ordinario. Lo fa attraverso una sceneggiatura ed una regia contraddistinte da un piglio attuale, deciso e sensibile, creando un lungometraggio decisamente meritevole di attenzione.