Nella seconda giornata della 60esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro il concorso si apre a lavori dal forte impulso documentaristico e archivistico, presentando, tra gli altri, il quadro paesaggistico di Materia Vibrante e l’importante ricostruzione storica di A Fidai Film.
Il film di Pablo Marín apre la seconda giornata di concorso con l’immagine di un’opera architettonica circondata e sopraffatta dalla vegetazione, un arco che ha lasciato al tempo le chiavi del proprio funzionamento, abbandonando il suo essere luogo deputato all’attraversamento, allo stazionamento, usufruibile e calpestabile, subendo una metamorfosi che lo rivaluta e lo ripropone come elemento estraneo ormai familiarizzato da un ecosistema che riprospera e si impone.
È la chiave di Materia Vibrante, che nelle intenzioni di Pablo Marín ha il compito di documentare la dicotomia tra naturale e artificiale, di osservare la compresenza tra strutture urbanistico-architettoniche e strutture della natura e svelarne la tensione. Una tensione che risiede nell’alternanza tra scene di una natura che sovraneggia e quadri in cui è costretta a prostrarsi all’imponenza (e all’attività mortifera) di montagne russe, ponti, tralicci che pure nella loro assenza manifestano la loro esistenza fuoricampo per mezzo di ombre che nella loro intangibilità rivelano la contaminazione.
Quello di Pablo Marín è un film in cui “ogni scena è una narrazione”, che fa di quel movimento di “compressione e rilascio” il proprio nucleo tematico, replicandolo anche in un accompagnamento sonoro che attribuisce un suono alla vibrazione, che incalza e si affanna e diventa nevrotico per poi tornare al silenzio, all’equilibrio, mentre le immagini, che prima possiedono una loro esclusività su schermo, vengono invase e giustapposte ad altre immagini in un montaggio aumenta gradualmente in frenesia per poi decontrarsi e tornare alla staticità.
A edifici ed elementi naturali che convivono accavallandosi e inglobandosi a vicenda si contrappone la loro indiscriminata devastazione per mano della ferocia dell’esercito israeliano che viola Beirut nell’estate del 1982. Seconda proposta della seconda giornata del Concorso del Nuovo Cinema, A Fidai Film (trailer) recupera e ridà voce a parte di uno sterminato repertorio messo a tacere, riporta in primo piano ciò che la cronaca israeliana aveva relegato sullo sfondo, usa la stessa foga sabotatrice per ammutolire una comunicazione univoca e unidirezionale. Lo fa attraverso un uso innovativo del negativo, attribuendogli una connotazione censoria, coprendo volti, eliminando la corporeità di silhouette che diventano presenze fantasmatiche, ancora scarabocchiando e rendendo illeggibili testi che nella loro nuova sembianza diventano inesistenti, derubati del loro portato comunicativo, destituiti della loro funzione attestante.
Poi si serve delle testimonianze rinvenute per riabilitare una narrazione palestinese fatta di distruzione, di edifici demoliti e incendi divampanti, di deportazioni e corpi accasciati, per approdare a una visione che ha tutti i crismi di un’apocalisse che torna al fuoco che tutto arde e tutto divora e assume i connotati neroniani di un incendio inestinguibile e dalla combustione spontanea.
A Fidai Film è un film tristemente attuale, una retrospettiva rivelatoria sulla spinosa questione mediorientale che continua a tenere banco in una contemporaneità che desta preoccupazioni.
Kamal Aljafari dà una risposta veemente alla faziosità di un’informazione quasi sempre partigiana, spesso parziale e mai panoramica, complessiva, che gerarchizza e veicola i contenuti in maniera difettosa in nome di una lacunosità che è costruzione convenevole delle apparenze.
Quella del regista è una riscrittura riallineante, la liberazione di una prospettiva finita sotto le macerie, la restituzione al popolo palestinese di una memoria visiva da cui era stato espropriato, narra una controstoria della situazione israelopalestinese facendo riemergere l’occulto, il mai-detto e il mai-mostrato.