Il primo giorno del Concorso della 59esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro si apre con quattro dei film della selezione, una retrospettiva della regista palestinese Rosalind Nashashibi e un’interessante “lezione di cinema” con la critica cinematografica Piera Detassis.
In una conversazione che ripercorre le tappe più significative della rappresentazione della mascolinità nel cinema italiano, Piera Detassis analizza i cambiamenti che hanno portato la figura del maschio all’italiana (esemplificata dal personaggio di Alberto Sordi ne I pappagalli), uomo tutto d’un pezzo, spesso infedele e senza scrupoli ma controllante rispetto alla donna, a un tipo di mascolinità più fragile e tormentata come quella del personaggio di Nanni Moretti in Bianca, che non sa neanche gestire il contatto fisico con la moglie. Sempre di più i personaggi maschili nei film italiani sembrano perdere la loro egemonia sul piano narrativo lasciando spazio a protagoniste e coprotagoniste femminili. È il caso di Dramma della gelosia (1970), film di Ettore Scola proiettato alla Mostra che vede Marcello Mastroianni, Monica Vitti e Giancarlo Giannini protagonisti di un avvincente triangolo amoroso. Qui Mastroianni perde completamente la centralità legata ai suoi ruoli precedenti e alla sua immagine divistica a favore di un’esuberante Monica Vitti, in un gioco narrativo che li vede alternarsi nel ruolo di protagonista.
Passando ai film del Concorso, ad aprire le danze è Dva, cortometraggio della regista russa Alexandra Karelina. Un uomo è alla ricerca del proprio cane all’interno di uno scenario metropolitano postapocalittico (si tratta di Mosca) non troppo distante da quello della guerra in Ucraina. All’inizio del cortometraggio viene mostrata una serie di opposti, probabilmente a ribadire la dualità di cui il film si fa portavoce sin dal titolo (dva significa “due” in russo), più avanti, invece, diversi quadri di una quotidianità sospesa ma comunque viva entra in conflitto con dei fermi immagini dell’abbandono della città. Così, mentre il protagonista è intento nella ricerca del cane scomparso e in quella scientifica che lo impegna in esperimenti cibernetici, appare l’immagine un po’ sfumata di una donna che sogna e ride, suggerendo quindi una via di fuga dall’angoscia della veglia. Dva offre uno sguardo cyberpunk su uno scenario apocalittico che tra la pandemia e la guerra in Ucraina è ormai tristemente familiare a tutti.
Il secondo film del Concorso è The Newest Olds dell’argentino Pablo Mazzolo. Sono “immagini fluttuanti” (come le chiama lo stesso Mazzolo) quelle che ci accompagnano per l’intera durata del cortometraggio, e in effetti sembra di assistere a uno strano timelapse senza tempo. In realtà si tratta di immagini di diversi panorami della città di Detroit ripetute con leggere variazioni ottiche di luce, colore e forma, a cui è sovrapposta una registrazione sonora di alcune scene di vita quotidiana nel cuore della grande metropoli. Se all’inizio può sembrare un esperimento poco interessante e i due piani del film, quello sonoro e quello visivo, troppo divergenti, pian piano questi iniziano a comunicare fino ad integrarsi perfettamente. Il risultato è un racconto estremamente coinvolgente della vita della metropoli, che in parte ricorda l’operazione del regista Joe Talbot in The Last Black Man in San Francisco, film che fa della città californiana la sua protagonista celebrandola con ampie vedute urbane e un accurato studio su luci e colori dei paesaggi.
Meno memorabile risulta il cortometraggio di Mary Helena Clark Exhibition, una mostra di frammenti filmici e pittorici che però non riesce ad essere incisiva e chiara nel suo intento. La sensazione è quella di assistere a una lezione di estetica: la voce narrante è magnetica e assente allo stesso tempo, i frammenti disposti come i capitoli di una tesi di laurea, il tutto corredato da una bibliografia finale a confermare le sensazioni dello spettatore. Exhibition si dimostra rigoroso nella sua confutazione ma troppo freddo e distante per la sua scientificità.
A chiudere questa prima parte del Concorso è Howling, il cortometraggio della giovane regista giapponese Aya Kawazoe, che propone al pubblico di Pesaro un surreale adattamento del racconto dello scrittore Hyakken Ucida. Un ragazzino cattura un’ape in un barattolo che finisce per cadere a terra e rompersi: l’ape è di nuovo libera e il ragazzo ormai cresciuto fa i conti con quell’insolito evento e con la scomparsa del fratello. Kawazoe crea atmosfere spettrali che richiamano le storie di fantasmi giapponesi e realizza sequenze oniriche grazie ad angolazioni bizzarre e tonalità fredde, quasi come se il film fosse ambientato in un limbo. Howling è un piacevole viaggio nella dimensione atemporale del sogno e del ricordo, che ipnotizza lo spettatore e lo rende complice del suo gioco onirico.