La matinèe del 22 giugno della 58esima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, svoltasi al Centro Arti Visive Pescheria, si è aperta con Gabriella Gallozzi, direttrice di Book Ciak, Azione!. Si tratta dell’unico premio dedicato all’intreccio tra letteratura e cinema attraverso “un tradimento del libro”, per far emergere il piccolo e l’invisibile. Il racconto, in questo senso, ha la funzione di offrire uno spunto visivo che poi porterà a raccontare altro. Da 10 anni il festival propone corti dalla durata massima 3 minuti giudicati da un presidente, che cambia ogni anno, e da una giuria permanente composta da Wilma Labate, Gianluca Arcopinto e Teresa Marchesi. L’idea è quella di dare a questi corti una visibilità altrimenti negata, assumendo anche un carattere itinerante. Dopo aver debuttato alla Mostra di Venezia i corti circolano in altri festival, come quelli di Parigi e Lugano, pensati come luoghi di distribuzione per il cinema più sperimentale. Ulteriore obiettivo è quello di dare visibilità all’editoria indipendente, considerando che i racconti selezionati sono editati da piccole case editrici italiane, e ai giovani film-maker over 35.
Accanto a una sezione dedicata al sociale e che coinvolge le detenute di Rebibbia, spicca Memory Ciak realizzata in collaborazione con spi-CGIL, liberEtà e il premio Zavattini con l’obiettivo di riattivare la memoria attraverso i diari-romanzi della casa editrice, e i materiali d’archivio messi a disposizione gratuitamente dal movimento operaio e democratico (AAMOD). A conclusione dell’incontro c’è stata la proiezione dei cinque corti premiati da Zerocalcare in occasione della decima edizione: This is Fine (Gianmarco Nepa), Damnatio Memoriae (Edoardo Martinelli), Guardare attraverso (Lorenzo Vitrone), Frammenti (Mauro Armenante e Chiara Capobianco), Penelope a Rebibbia (Maria S., Loide D., Gabriela P.)
La matinée è poi proseguita con la tavola rotonda per il centenario di Jonas Mekas, coordinato da Pedro Armocida e che ha visto gli interventi di Rinaldi Censi, Adriano Aprà, Francesco Urbano Ragazzi, Federico Rossin e la presenza di Laura Gabrielaitytė-Kazulėnienė, l’addetto culturale della Ambasciata della Lituania nella Repubblica Italiana. Ad emergere è prima di tutto il ritratto di uomo che non era solo filmmaker ma anche poeta, manager e artista a tutto tondo. Adriano Aprà ha ricordato il suo primo incontro con Mekas nel 1967, alla terza edizione del Festival del Cinema di Pesaro, in occasione di una rassegna dedicata al New American Cinema. La scoperta di quel modo nuovo di approcciarsi alla materia filmica è stato per lui uno shock che ha cambiato il suo modo di vedere il cinema. Aprà ricorda inoltre come Mekas rifiutasse di considerare i suoi film come “sperimentali”. Per il regista Lituano quello a cui ha dedicato gran parte della sua vita è “Il Cinema”, senza specificazione: “Il cinema di Mekas è un cinema che coglie aspetti della realtà che sfuggono all’occhio, all’attenzione e vanno al di là della realtà”. In particolare Aprà ha affermato che il corpus di opere di Mekas “è la dilatazione di un attimo. È sempre lo stesso film che coglie l’istante paradisiaco. Un istante che nella nostra coscienza può durare sei ore ma nella realtà dura un secondo”. Nella coscienza di Mekas, dunque, la differenza tra passato, presente e futuro non esiste. “Esiste solo ciò che ricreiamo dentro di noi a partire dagli stimoli che ci vengono dall’esterno”.
Anche Rinaldo Censi ha evidenziato il carattere poliedrico del regista sottolineando il ruolo di agitatore culturale. Mekas si è infatti impegnato, nel corso della sua vita, in una guerra di posizione volta a far conoscere un altro cinema americano che lui stesso contribuiva a promuovere ma che veniva tenuto in scarsa considerazione se non addirittura ignorato. E lo ha fatto anche creando un archivio, l’Anthology Film Archives, che contiene principalmente lavori underground ma anche una selezione di film di tutta la storia del cinema.
Francesco Urbano Ragazzi ha sottolineato come il New American Cinema è stato un movimento americano che non ha avuto un’origine americana. Mekas era infatti un profugo lituano che giunto in America ha provato a creare un gruppo composto da queer, omosessuali e femministe per presentare un nuovo movimento. Si tratta di una posizione storica, sociale e culturale forte che connota il cinema undergound come rivoluzionario. Ragazzi vede in Mekas un filosofo del tempo, che ha ragionato sulla realtà e sulla “necessità di riconnettersi ai momenti della realtà”, giungendo a un’ avanguardia perpetua “dove tutto è personale e politico”. Il New American Cinema è allora il tentativo di coniugare la poetica con la poietica e che si oppone a un’idea di cinema come industria che deve “pompare” il contenuto per l’intrattenimento del pubblico. Non bisogna poi dimenticare di come il regista lituano abbia lavorato sul diario in svariate forme, arrivando a svilupparlo a partire dal 2006, dopo il lancio di Youtube, in forma cross-mediale, ragionando sulla temporalità e la modalità di fruizione online.
Dal carattere più polemico l’intervento di Federico Rossin per cui Mekas aveva una visione egemonica della propria comunità. Per Rossin quella del regista è “una chiesa in cui la storia non esiste. Esiste solo un eterno presente in cui tutto resta intimo e privato”. Da qui la necessità di criticare, smontare e decostruire i “padrini” del cinema, attraverso uno sguardo retrospettivo e non monumentalistico, anche per assicurare un futuro alla sua opera. Al contrario per Ragazzi quello di Mekas è un lavoro compensatorio “che non vuole ripercorrere il trauma ma si concentra sul reale per sorpassarlo attraverso il rapporto stretto tra uomo e tecnologia di ripresa”. Non ci sarebbe dunque una mistificazione del reale e un’assenza della storia ma una celebrazione del reale. Sotto questa prospettiva i suoi film sono anche una forma di autoanalisi.
Di Francesca Nobili e Federico Rinaldi