La matinée del 24 giugno della 58esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, svoltasi al Centro Arti Visive Pescheria, si è aperta con l’incontro per la pubblicazione del volume Da una prospettiva eccedente. In dialogo con Antonio Capuano alla presenza del regista, dei curatori Armando Andria, Alessia Brandoni, Fabrizio Croce e l’editrice Silvia Tarquini. Brandoni ha messo in evidenza l’importanza della categoria di “eccedenza” con cui sono stati letti i temi e il linguaggio cinematografico del regista. L’eccedenza nello specifico viene considerata come una categoria che racchiude una compresenza di situazioni, valori e percorsi opposti che possono confliggere o dialogare tra loro. Essa “non è risolta da una sintesi ma rimane sempre un di più, un residuo, un buco, anche se la tendenza di Antonio è quella di restare in dialogo con quest’ultimo e in questa esperienza porci molto domande, senza mai dimenticare l’importanza della bellezza”.
Centrale per Capuano è lo stare in attività, sia nel senso di tessere relazioni sul set con gli attori e le varie componenti della troupe, sia in quello di essere attivi sul set. Antonio Capuano ha messo in evidenza l’importanza del discorso e del dialogo con l’altro come veicolo per una più profonda conoscenza di se stessi, per poi discutere della centralità di Napoli nella sua vita e nel suo lavoro, tenendo a sottolineare come “tornare a Napoli dopo anni è come fare un film su una città estranea. Raccontare Napoli dopo che non ci si è stati per anni vuol dire non conoscere le trasmutazioni a cui è andata incontro la città. Vivere queste cose è importante.” Il regista napoletano ha poi parlato del fenomeno Gomorra, facendo un paragone con il suo film Luna Rossa (2001): “Nel mio film i delinquenti sono repellenti, e lo sono anche per gli spettatori, tanto che uno dei personaggi del film dice che non sono Napoli, ma la monnezza di Napoli”. Da qui una critica all’epica delinquenziale che ha degradato la città e che ha spinto i camorristi a occupare tutta la città.
Armando Andria ha sottolineato come questo volume “colmi il vuoto dell’assenza di una prospettiva sul cinema di Capuano, una personalità debordante e difficile da inquadrare”. Il libro è dunque animato dal desiderio di esercitare uno sguardo sul cinema del regista, scoprirlo, stare in relazione con esso e con la sua personalità artistica. Fabrizio Croce ha parlato del modo in cui il libro era stato pensato in origine, seguendo un ordine cronologico dal primo all’ultimo film ma che “è stato poi sparigliato dalla relazione con Antonio”. Per realizzarlo sono stati fondamentali gli incontri con Capuano e la volontà di entrare nella città per scoprirla e capirne il contesto. “Quella di Antonio è una Napoli viscerale, intensa, diversa dall’immagine superficiale che spesso ne viene data”. Silvia Tarquini ha espresso il suo amore per il cinema di Capuano, affermando che il progetto di un volume su di lui era in programma da anni, per poi parlare della sua casa editrice, Artdigiland, intesa come “piccola spazio di libertà per incontrare autori e artisti che amo, e grazie ai quali abbiamo costruito la nostra identità”. La Artdigiland si basa su un sistema che prescinde dai finanziamenti. L’editrice ha, infatti, “intercettato le nuove tecnologie, rinunciando alla distribuzione in libreria, preferendo la scelta dell’online che mi ha consentito di abbattere le spese e renderla più libera”.
Il secondo incontro della giornata si è concentrato su Mario Lodi, in occasione del centenario della nascita. La tavola rotonda è stata tenuta da: Anna D’Auria, Pamela Giorgi, Elisabetta L’innocente, Carlo Ridolfi, Vanessa Lodi, Mauro Santini e Francesco Tonucci. Mario Lodi è stato un pedagogista di spicco nel panorama dell’istruzione italiana che ha cominciato ad insegnare dopo la fine della seconda guerra mondiale. Credendo in un’idea di scuola democratica, ha contribuito a costruire “la scuola della costituzione”. L’idea della scuola portata avanti dall’insegnante Lodi vedeva le classi come luoghi senza pareti, continuamenti aperte ai cambiamenti. Lodi si è sempre posto al livello dei suoi allievi, non vedeva il ruolo dell’insegnate come quello di una persona che trasmette un sapere ma, piuttosto, come un compagno di lavoro che collabora con i suoi studenti.
Vittorio De Seta, in una delle quattro puntate che compongono la docuserie Diario di un maestro (1973), si concentra sull’esperienza di Lodi come insegnante. Quello che colpisce è lo spirito di autonomia con cui i suoi alunni si approcciano all’apprendimento. Mario Lodi è stato, inoltre, un esponente di spicco del Movimento di Cooperazione Educativa (MDCE), un gruppo politico che si è posto (e si pone tutt’ora) l’obiettivo di creare una scuola sempre più democratica, laica, pubblica. La scuola deve essere la scuola del popolo, un luogo libero che ha come fine ultimo la creazione di un uomo emancipato che vede riconosciute le proprie dignità culturali e linguistiche. Francesco Tonucci, pedagogista italiano, mira a trasformare ogni aula nel “posto più bello nel mondo”. Crede in una scuola che non è una passiva trasmissione di sapere precostituiti. Crede nel contribuito che ogni singolo insegnante può dare per compiere una piccola ma grande rivoluzione silenziosa.
Di Federico Rinaldi e Francesca Nobili