Già presentato nel 2019 alla Festa del cinema di Roma nella sezione Riflessi, Il terremoto dello zio Vanja (trailer) è stato proiettato la penultima sera della cinquantaseiesima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Mostra di un “Nuovo cinema” con cui, anche se quasi inconsapevolmente, il film di Vinicio Marchioni (Romanzo Criminale, The Place) e Milena Mancini (Ride, La terra dell’abbastanza) dialoga intensamente.
Progetto nato dalla voglia dei due attori di mettere in scena Cechov, Il terremoto dello zio Vanja, rientra perfettamente in un’ottica intermediale fin dalla sua nascita. Come hanno raccontato sia Milena Mancini che Vinicio Marchioni, infatti, la loro intenzione era di portare a teatro la pièce del drammaturgo russo. Tale impresa, catturata quasi casualmente dagli occhi digitali della coppia, si è trasformata ben presto in un viaggio. Viaggio reale dalla macchina al teatro e in giro per la tournée. Viaggio interiore attraverso la poetica e la lingua di Cechov, una lingua profondamente umana e universale, ma allo stesso tempo astrusa nel suo essere a tutti gli effetti “materia viva e pulsante”. Viaggio tra diversi formati e diversi materiali d’archivio. Si passa dal bianco e nero ai video fatti col cellulare in macchina, dalle riprese che inquadrano il lavoro dietro le quinte, fino al reportage e alle interviste ai terremotati.
Si migra dal ricordo personale, alla poetica di Cechov, caratterizzata da una forte componente umana, alla sofferenza dei terremotati, fino a riflessioni universali. In tal modo, sebbene tutto questo processo sia stato un montaggio postumo, ovvero una conseguenza della portata emotiva di tutto il lavoro effettuato negli anni, il docufilm realizzato da Marchioni e Mancini e prodotto da Simone Isola (Non essere cattivo, Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e Cinema di Claudio Caligari) riesce a cogliere alla perfezione l’atmosfera presente nella drammaturgia dello scrittore russo. Nato, dunque, come proposta personale, si realizza alla fine un adattamento contemporaneo, dotato nella sua diversità, come la stessa lingua di Cechov, di un’universalità e di una completezza narrativa.
Il terremoto dello zio Vanja è un lavoro che porta avanti, tramite più strati, un’indagine. Una ricerca che appare duplice e unitaria al medesimo tempo. Nel frugare intensamente dentro lo stile cecoviano, i due attori si sono ritrovati dentro i meandri ontologici dell’essere umano, in una costruzione escatologica o, come definita da loro stessi, “a matriosca”. Una matriosca che si può riscontrare tanto nella complessità dei contenuti, quanto nello stile adottato. Uno stile che si regge su un montaggio dei frammenti, che trovano il loro punto di ricongiungimento in un’unica matrice. Una matrice profondamente umana, che riesce, in modo poco convenzionale, a conversare su diversi ambiti multidisciplinari. Il terremoto dello zio Vanja unisce a livello stilistico contenuti d’ampio respiro, che in tal modo diventano parte di un’unica forma fluida, che riesce a catturare, senza immobilizzarla, l’essenza stessa della vita e dell’arte, qui intesa come essenza viva e livida.
A seguire l’intervista a Vinicio Marchioni e Milena Mancini.