In occasione del decennale dalla scomparsa di Corso Salani, PesaroFF56 ha voluto ricordare il regista con un incontro al Teatro sperimentale, nel pomeriggio del 26 agosto, seguito dalla proiezione del film del 1995 Gli occhi stanchi. Presenti al dialogo Pedro Armocida, la sua sceneggiatrice fino al 2000 Monica Rametta e Carlo Valeri, vicedirettore della rivista Sentieri Selvaggi, che negli anni ha sempre portato avanti e promosso le opere di Salani. Monica Rametta si è detta “felice di questo omaggio”, tornando più volte su quanto sia fondamentale omaggiare e riscoprire il regista, portatore di un’idea libera e radicale di cinema (“sarebbe, per tutti gli aspiranti registi, una lezione conoscere e far propria l’idea di Salani”). Proseguendo la sceneggiatrice ricorda il loro incontro in giovane età, i primi progetti (la serie di documentari Viaggio in Europa) e la produzione de Gli occhi stanchi (“uno dei suoi film più belli e complessi”, dirà Valeri).
Proprio parlando di questo film ci si concentra su quanto sia stato un passaggio cardine nella filmografia del regista, caratterizzata dall’unione di finzione e realtà, quella forma molto diffusa che oggi conosciamo come “falso documentario”. Un’intuizione che col senno di poi potremmo definire visionaria, visto l’utilizzo ricorrente che oggi ne viene fatto, in primis su piattaforme come Netflix. Rametta ricorda poi il rigore e l’ironia che contraddistingueva Salani sul set, una figura unica per il suo modo di vivere insieme al cinema (“quando non girava scriveva e viceversa”).
Gli occhi stanchi è un road movie che narra la storia di Ewa (Agnieszka Czekanska), una prostituta polacca, risultato di un viaggio in Polonia dove è stata trovata anche la futura protagonista, inizialmente seconda scelta. Nel tentativo di tornare a casa dopo anni in giro per l’Europa, la ragazza viene accompagnata in questo viaggio da una troupe che sta cercando di imprimere su pellicola la sua vicenda.
Una storia dura quella di Ewa, inizialmente poco disposta e chiusa verso i compagni di viaggio, che tra una fermata e l’altra emerge anche grazie alla disarmante sincerità dei suoi sguardi (visto lo scontro tra finzione e realtà). Come piano piano emerge anche quella “sensazione di verità” descritta da Rametta nell’introduzione, la vera ricerca di Corso Salani, che dalle autostrade notturne e prive di orizzonte si sprigiona nel liberatorio canto finale e nella lunga passeggiata in spiaggia di Ewa, che torna a vedere la luce e la sua vita.