#PesaroFF54 – Intervista con Miriam Henze (Los Años Azules)

Durante il secondo giorno della 54° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro abbiamo incontrato Miriam Henze, produttrice del film in concorso “Los Años Azules”. Miriam Henze è parte di una nuova generazione di produttori e registi che in Messico incarnano il nuovo cinema indipendente. Cineasti che lottano per la ricerca dei finanziamenti e che ricercano libertà espressiva. Questa è la nostra intervista.

 

Cosa porti al festival? “Los Años Azules” è l’opera prima mia e della regista Sofia Gomez Cordoba. È una pellicola che parla di amicizia e della famiglia, fuori dal contesto domestico. Il trovare una famiglia lontana dalla propria.

Cosa pensi del cinema femminile? Parlo dal mio punto di vista: dopo aver girato questo film da donna con una regista donna e una troupe per la maggior parte al femminile, posso dire sia stata un’esperienza molto organica. Non abbiamo passato tutto il tempo a pensare a questa condizione di donne creative in un medium generalmente dominato da uomini. Al contrario c’è stata una grande sinergia e ci siamo concentrati di più sul fare il film. Credo che questo tipo di processo sia politico per natura, perché siamo in un periodo di grande cambiamento, non solo nell’ambito del cinema, dove inizia a esserci equità fra i generi. Quindi credo che a noi come donne tocchi lavorare in questa direzione e c’è molta spinta in questo senso in molte parti del mondo.

Cos’è per te il nuovo cinema? Credo che quando si parla di nuovo cinema, cinema contemporaneo, si stia parlando in realtà del cinema stesso perché il cinema è sempre attuale. Di conseguenza è un riflesso, della società di quel periodo o dei creativi dietro al film. Il cinema è sempre stato contemporaneo e credo che continuerà ad essere questo riflesso. Continuerà ad evolversi e ad avanzare insieme alle altre cose che cambiano nel mondo e che cambiano la mente di chi crea il cinema.

Hai prodotto questo film perché ti sentivi coinvolta personalmente? Il team che ha lavorato al film era alla prima esperienza. Appartenevamo alla stessa generazione, alla stessa città, frequentavamo la stessa università. Ci conoscevamo da anni, ci fidavamo dall’inizio. Partivamo dallo stesso punto, avevamo le stesse domande, le stesse paure. È stata una sfida che eravamo pronti ad affrontare insieme. Abbiamo lavorato molto insieme; ha funzionato bene perché avevamo lo stesso obiettivo nel film. Ci siamo sentiti uniti dal soggetto, dallo stile, volevamo essere liberi di esprimerci, di sperimentare con il linguaggio cinematografico. Avevamo questo progetto, questa sceneggiatura, questi talenti e volevamo che il film corrispondesse alle nostre idee. Abbiamo lavorato in maniera organica, ognuno ha trovato il proprio ruolo. Abbiamo provato a lavorare in maniera non gerarchica, ma in modo orizzontale. Tutte le scelte sono state prese insieme.

Com’è produrre in Messico e com’è stato produrre questo film? L’anno scorso mi sono stabilita a Berlino. Per me è stato importante per sentire e comparare le visioni riguardo al cinema del futuro in Germania e in Messico. L’anno scorso c’è stato un record di film prodotti in Messico, dove sono diverse le possibilità di finanziamento. Non significa, però, che automaticamente ricevi i finanziamenti. Per noi il processo è stato diverso. Credo che la sfida della nostra generazione dipenda da cosa vogliamo dai nostri film. Il nostro team non voleva dipendere dai grandi finanziamenti. Registi come Iñàrritu, Cuaròn, Del Toro hanno iniziato in anni diversi, dovevano cercare i finanziamenti all’estero. Noi siamo privilegiati perché nella nostra provincia in Messico non vengono prodotti molti film. Così possiamo accedere a piccole compagnie che gestiscono la post-produzione, le attrezzature e abbiamo anche l’appoggio universitario. Alla fine, nonostante le difficoltà, siamo avvantaggiati. Ci sono film supportati da università ovunque! Ora il nostro dovere è concentrarci sul messaggio che vogliamo comunicare attraverso il cinema. Ci sono oggi molti modi per produrre. È una questione politica ed economica. Negli anni d’oro del cinema messicano, per esempio, si lavorava con una struttura produttiva molto diversa da quella di oggi. Tutto è cambiato e noi siamo parte di questo cambiamento.

Pensi ci sia molta differenza tra il modo di finanziare in Europa e in Messico?  Il Messico e l’America Latina sono simili all’Europa riguardo ai finanziamenti pubblici, non c’è uno studio system come quello di Hollywood. Quindi ci sono molti modi per produrre, ma credo che ci sia più flessibilità in Messico. Per esempio, non serve una compagnia per richiedere specifici fondi. In Germania praticamente non puoi richiedere fondi senza una società avviata. In Messico, diversamente dall’Europa, non dipendiamo così tanto dal sistema televisivo. Rispetto al crowdfunding, credo che la nostra generazione, lo vedo anche in Germania, sia meno legata al finanziamento pubblico. Si cerca di trovare altri modi, come abbiamo fatto noi per il nostro film. Non volevamo aspettare un altro anno per richiedere i finanziamenti. Volevamo essere liberi, farcela per conto nostro. Penso, però, che non tutti i film possano avere questa libertà. È difficile, non so se produrrei un altro film allo stesso modo. Abbiamo imparato molto e sono grata di avere avuto questa libertà per questo film, ma ci vuole un equilibrio. I film se non sono un successo commerciale, sono pur sempre beni culturali. Dovrebbero essere visti in questo modo sempre, è l’eredità di ogni nazione. Lo Stato, la società devono rimanere coinvolti in questo processo. Devono continuare a investire in un cinema che potrebbe non sopravvivere senza il loro aiuto.

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