Inizialmente commissionato come progetto per un cortometraggio che celebrasse la pulizia dei bagni pubblici all’avanguardia di Tokyo, Wim Wenders trasforma il film in un lungometraggio in cui si passeggia a lungo nei parchi, si contemplano sogni e gioie fugaci e si restituisce dignità a qualsiasi tipo di mestiere. In una carriera in cui il regista ha esplorato tantissimo, dalle potenti storie d’amore che trascendono distanze incredibili (Parigi, Texas), a documentari intensissimi (Buena Vista Social Club, Pina) passando per i diversi esperimenti cinematografici, Perfect Days (trailer) potrebbe essere uno dei suoi film migliori. Un lavoro che va all’essenza delle cose, incentrato sulla performance straordinariamente sobria di Koji Yakusho (Prix d’interprétation masculine allo scorso Festival di Cannes).
Ogni mattina, Hirayama (Yakusho) si sveglia e si prepara per la giornata, esce con un sorriso sul viso, prende una bibita e va a pulire i bagni pubblici di Tokyo. La routine di Hirayama cambia impercettibilmente di giorno in giorno e l’uomo sembra felice per la semplicità, quasi meditativa, con cui si svolge la sua vita. A volte, il suo collega potrebbe arrivare tardi (ammesso che si presenti), o Hirayama potrebbe trovare un biglietto a sorpresa nascosto nei bagni, ma a lui piace la sua vita metodica. L’uomo trascorre il suo tempo leggendo libri tascabili economici, ascoltando Lou Reed, Patti Smith o The Animals dalla sua vasta collezione di cassette, scattando foto della luce che filtra dagli alberi durante la pausa pranzo e andando nel suo ristorante preferito, situato sottoterra in un luogo dove i dipendenti lo ringraziano sempre per la sua gentilezza. Quando la vita riserva qualche sorprese a Hirayama, a lui va bene seguire il flusso, offrendo aiuto ove possibile, anche se questo interrompe i suoi schemi. Quando la nipote Niko (Arisa Nakano) fa visita a suo zio senza preavviso, iniziamo lentamente a conoscere di più l’uomo, il suo passato, la sua famiglia e, soprattutto, la vita che tende a evitare.
Wenders trova la gioia nelle piccole cose della vita, come ascoltare la canzone giusta mentre si va al lavoro, o trovare una pianta vagante da aggiungere alla collezione casalinga. Hirayama ha un’attenzione ai dettagli e un occhio per la bellezza straordinario. Inizia sempre la sua giornata con un sorriso, ed è difficile non sorridere a nostra volta accanto a lui, mentre osserviamo la sua giornata metodica e l’amore che ha per ogni istante che è riuscito a creare per se stesso. Il film non ha una narrazione classica, proprio a causa dei tempi così tanto dilatati, ma riesce comunque ad appassionare. Anche se Wenders (e il co-sceneggiatore Takuma Takasaki) decidessero di non esplorare Hirayama e la sua storia, Perfect Days sarebbe comunque un bellissimo riflesso delle piccole vittorie di un piccolo uomo che è riuscito a ritagliarsi una piccola vita felice. Tutto ciò regge grazie alla performance di Yakusho che è così naturalistica nel suo approccio che spesso è difficile dimenticare che questo non è l’ennesimo documentario di Wenders su un uomo che lavora per la società The Tokyo Toilet. C’è una luce dietro gli occhi di Yakusho che non si spegne mai. Sembra che la vita di Yakusho sia stata curata alla perfezione, anche guardandosi intorno nel suo appartamento, pieno di piante trovate durante i suoi viaggi e degli scaffali pieni di libri e audiocassette.
Come la vita di Hirayama, Perfect Days si basa su schemi metodici di ripetizione ma, con Yakusho al centro di questa storia, è impossibile annoiarsi guardandolo fare sempre le stesse cose. L’umiltà di Hirayama è la sfida che Wenders ha lanciato a se stesso. Perfect Days vuole essere un film invitante e umano che si concentra intensamente sui piccoli momenti della vita di un uomo per portare alla luce verità universali. C’è un po’ della sensibilità attenta alle micro-trame di Vittorio De Sica, e l’impressione che Wenders dà di Hirayama come una figura divina che osserva da lontano il resto di noi esseri umani imperfetti, porta alla mente il protagonista de Il cielo sopra Berlino, Il film che tormenta Perfect Days più di ogni altro è Paterson di Jim Jarmusch, che segue un autista di autobus che sogna di diventare un poeta per alcuni giorni mentre lotta con le meraviglie e le trappole di una vita che non lo soddisfa del tutto.
Perfect Days è il primo lungometraggio narrativo giapponese di Wenders, e – come abbiamo visto in Tokyo-Ga del 1985 – il regista nutre un profondo amore per la cultura e i film che provengono da questa parte di mondo, in particolare il lavoro di Ozu Yasujirō. È difficile non pensare a Ozu quando si guarda lo stile contemplativo di Wenders. La lentezza del quotidiano che rimane accattivante ricorda film come Viaggio a Tokyo, Tarda primavera e Buon giorno; è l’approccio perfetto per la storia che Wenders e Takasaki raccontano. C’è anche un’ammirazione per Tokyo stessa e per la sua bellezza che traspare in ogni fotogramma di Perfect Days: persino i bagni puliti da Hirayama sono così impressionanti, così straordinari, che Wenders si assicura di renderli il punto focale di diverse inquadrature. Il regista mostra ogni nuovo luogo con adorazione, dal piccolo appartamento di Hirayama agli angusti negozi dove compra le sue nuove cassette ai parchi dove consuma il pranzo mentre scatta foto. Proprio come Hirayama apprezza ogni aspetto della sua giornata, Wenders sembra apprezzare questi semplici piaceri tanto quanto la sua star e noi con loro – nel qui e ora, godendo della komorebi (in giapponese, la luce che filtra tra le foglie degli alberi).
Al cinema dal 4 gennaio.
Articolo di Ilaria Franciotti.